Dopo colazione, apprendo che andremo in visita allo sciamano. Ho insistito molto per incontrarne uno, dopo aver letto quanto lo sciamanesimo sia praticato e, per cultura e tradizione, costituisca parte integrante della vita dei mongoli. Sono contenta che la guida sia riuscita ad organizzarlo proprio oggi, è sicuramente un modo originale per cominciare il 2020.
Questo signore – che a guardarlo sembra più un generale sovietico che un guru spirituale – mi chiede soltanto nome di battesimo e anno di nascita. Non voglio fargli domande, sono qui per ascoltare. Stende un fazzoletto su cui posa le 41 pietre sacre (kuvaanak) poi strofina quello che chiama specchio (e che in realtà è un disco di rame), che dovrebbe riflettere i miei bisogni interiori e consentirgli di “vedere il mio futuro”.
Lo osservo con attenzione e, affascinata dalla ritualità dei gesti, cerco di non commettere errori e di cogliere la magia di quello che sto vivendo. Ovviamente, anche se del tutto inconsapevolmente, sbaglio: lo sciamano mi invita (la guida traduce simultaneamente) a non tenere gambe e mani incrociate, e io obbedisco.
Esiste un codice comportamentale molto rigido in Mongolia, che ignoro quasi totalmente ma so riguardare anche il linguaggio del corpo, perché i mongoli sono particolarmente superstiziosi e attribuiscono grande valore anche ai piccoli gesti.
Essere al suo cospetto è una esperienza straordinaria e anche se non sono propensa a credere a quello che mi dirà, so di non essere davanti a un ciarlatano che pretende di leggermi il futuro, ma di fronte ad una autorità importante per la comunità e che fa del dono ricevuto una missione.
Lo sciamano è psicologo, indovino, medico, sacerdote e divinatore: consiglia, cura, celebra i riti religiosi e consente agli uomini di connettersi con gli spiriti della natura.
Quando termina la mia “seduta” (per la quale ho fatto un’”offerta” di 7 dollari) indago un po’. Mi racconta che la nonna, sciamana, ha riconosciuto in lui lo stesso dono e glielo ha tramandato. Racconta di quanto sia stato difficile per lui accettare questo ruolo e spiega che fino a quando non ha maturato questa consapevolezza la vita è stata un percorso ad ostacoli e molto dura per lui.
E questa in fondo è una verità universale, perché le cose non vanno mai per il verso giusto fino a quando non impariamo ad accettare il nostro destino. O almeno questo è quello che ho pensato ascoltandolo. Dopo averlo ringraziato per il tempo dedicato ed i racconti, ci allontaniamo dalla cittadina e attraversiamo una vallata immensa e immacolata.
Gli alberi innevati sembrano sculture meravigliose e mangiare un piatto di pasta sul volante del fuoristrada mi rende entusiasta. Strada da fare ce n’è: costeggiamo la catena montuosa degli Altai e quando è quasi l’ora del tramonto una mandria di cavalli selvaggi ci taglia la strada. Sono minuti di poesia.
Quando ormai è sera, attraversiamo il Dood Tsagaan Lake, ovviamente completamente ghiacciato. C’è una luce azzurra che non ricordo di aver mai visto prima e che con il silenzio avvolge ogni cosa.
Facciamo sosta al controllo visti (per accedere a questa regione è infatti necessario un visto ulteriore rispetto a quello per entrare in Mongolia). Oltre, è consentito proseguire su ruota soltanto in inverno. In estate ci si addentra a cavallo, o niente. Anche se guardando il paesaggio non si direbbe, siamo quasi a 2000 mslm e quando ormai è notte attraversiamo il bosco di larici per arrivare all’insediamento degli uomini renna, dove per due giorni saremo sperduti nella tundra, senza connessione alcuna.