È arrivato il momento di lasciare gli uomini renna. La notte è trascorsa nonostante addormentarsi non sia stato facile: poco dopo essermi infilata nei sacchi a pelo, i cani hanno cominciato ad abbaiare con insistenza e ho temuto visite poco gradite. I lupi sono sacri: sono gli animali inviati dal Cielo, gli archetipi della stirpe, i possenti antenati.
Non è un caso che l’imperatore Genghis Kahn sia chiamato “il lupo azzurro”. Così fanno paura ma vengono trattati con rispetto. E io nel buio paura la sento, ma ho anche fiducia in queste persone sconosciute che da sempre vivono qui, in condizioni estreme, e che hanno imparato a convivere con loro.
La giornata si preannuncia lunghissima. E lo sarà. Attraversiamo prima una enorme vallata, guidando dentro al letto di un fiume e poi nella steppa, e puntiamo dritti verso la catena montuosa che si staglia all’orizzonte. Dietro quelle montagne c’è la nostra destinazione: il lago Khosvgol.
Da quando siamo partiti, “una destinazione” è tutto quello che abbiamo: seguiamo – semplicemente – una direzione. Così puntiamo dritti a est. Prima o poi (e sarà decisamente “poi”) arriveremo.
Facciamo soltanto una breve sosta per pranzo e ripartiamo nel primo pomeriggio, quando cominciamo ad attraversare le montagne: la “strada” si fa davvero dura, un saliscendi continuo, perché il terreno è sconnesso e il fuoristrada è costantemente sballottato a destra e sinistra. Punto i piedi contro il sedile davanti e cerco di tenermi in modo da riuscire anche a scattare qualche foto.
Vedere il tramonto tra queste montagne è emozione pura. La luce cambia, taglia le vallate e le cime dei larici e ci illumina da angolazioni sempre diverse. Quando ci lasciamo alle spalle la catena montuosa ecco davanti a noi quell’immensa distesa di ghiaccio che è il Lago Khogsvol. Non si vede la fine.
La guida non ci informa sulla strada che resta da percorrere, ma vedo una luce in lontananza sulla sponda destra e penso che sia l’insediamento cui siamo diretti. “Ormai siamo arrivati”, penso. E invece davanti avrò ancora quattro ore buone di strada. Mi sto godendo il paesaggio e il fascino di questi km fino a quando, verso le 21, nel buio del bosco illuminato soltanto dalla luna quasi piena e da una coperta di stelle, incrociamo incredibilmente una jeep.
La prima casa è a sei o sette ore buone da dove ci troviamo, quindi non capisco dove vadano a quest’ora. Con mio grande stupore, per la prima volta, ci fermiamo “per chiedere indicazioni”.
Indicazioni? Cioè ci siamo persi? Ricapitolando: siamo partiti 12 ore fa, abbiamo fatto benzina alle 15, è buio pesto, il termometro segna meno trenta gradi e possiamo scegliere tra fermarci a dormire con il fuoristrada in mezzo a un bosco pieno di lupi o su un lago ghiacciato che scricchiola.
Per la prima volta ho paura, e comincio a prepararmi psicologicamente al concetto di “sopravvivere al gelo di una notte in fuoristrada”. Solo verso le 23, alla vista della nostra gher, posso finalmente rilassarmi. Sono sfatta dalle emozioni – compresa la paura – e dalla bellezza di questo paesaggio. Nonostante la stanchezza, il primo pensiero va subito all’alba di domani: punto la sveglia presto perché proprio non me la posso perdere.