Camminare – è riconosciuto da tutti gli scienziati – è una delle abitudini più salutari da coltivare.
I benefici sulla psiche e sull’organismo sono tali che i medici attribuiscono all’attività più antica dell’uomo una funzione sia preventiva che terapeutica.
Ma quand’è che la camminata diventa terapia e prevenzione?
I parametri usati per comprendere gli effetti salutari dell’andare a piedi sono molteplici: dall’ambiente in cui si cammina all’altitudine, dal livello di inquinamento all’ora della giornata.
Tuttavia, il primo e fondamentale criterio è quello dell’andatura. Si sa infatti che, seppure è vero che camminare fa sempre bene, camminare velocemente fa ancora meglio.
Un recente studio ha cercato di indagare quale sia l’andatura da tenere per fare della camminata un contributo quotidiano alla salute.
È facile capire che c’è differenza tra una passeggiata tranquilla nel viale alberato di una città e lo sprint per rincorrere l’autobus che ti sta sfuggendo.
Ma la conoscenza intuitiva non basta alla scienza, che ha bisogno di misure quantitative per proporre definizioni.
E qui le definizioni che servono sono quelle di camminata lenta e camminata veloce.
Tradizionalmente, i parametri per stabilire se la camminata è più o meno intensa sono quelli relativi alla respirazione e alla frequenza cardiaca.
Tanto più alto è il ritmo respiratorio, tanto maggiore è la frequenza cardiaca, tanto più intensa è la camminata. Questi metodi presentano però degli inconvenienti.
Nel caso della frequenza cardiaca il dato non sempre è preciso perché di solito è preso dalla stessa persona impegnata nell’esercizio.
Certo, oggi le app utilizzate sugli smartphone aiutano, ma le informazioni che danno non sono da prendere per oro colato.
Inoltre, valutare solo la frequenza perde utilità nei soggetti sottoposti ad alcuni tipi di terapia che abbassano la pressione.
Per quanto riguarda la respirazione si fa invece riferimento alla cosiddetta Scala di Borg che si fonda sulla percezione soggettiva dello sforzo da parte di chi fa esercizio.
Una versione modificata della scala viene utilizzata proprio con riferimento alla camminata.
In base a questa scala, la camminata è lenta se durante il movimento si è in grado di parlare o addirittura cantare, mentre lo sforzo diventa moderato quando la parlata non è più completamente fluida.
Diventa vigorosa quando, camminando, non si riesce più neppure a parlare.
Sia la scala di Borg che la misurazione della frequenza cardiaca, per quanto importanti, non offrono una misura semplice e oggettiva per distinguere la camminata tranquilla da quella intensa e terapeutica.
Ed è per questo che un team di scienziati dell’’Università del Massachusetts ad Amherst guidato dalla Prof. Catrine Tudor-Locke, ha cercato altre strade.
Il risultato è un studio pubblicato su un numero speciale del British Journal of Sports Medicine dedicato al tema del camminare (How fast is fast enough? Walking cadence (steps/min) as a practical estimate of intensity in adults: a narrative review).
Si trattava di capire se vi fossero, nella letteratura medica, dati sufficienti per sviluppare una definizione più precisa e semplice, alla portata di tutti, di camminata veloce.
Gli scienziati hanno setacciato gli studi di buona qualità che avessero monitorato il ritmo e la cadenza della camminata, intesi come numero di passi al minuto, nonché altre misure dello sforzo, come la frequenza cardiaca e respiratoria.
L’obiettivo era verificare se vi fosse una relazione tra un dato facilmente rilevabile – i passi al minuto – e i parametri tradizionali.
Per ottenere un dato il più possibile generale si sono analizzati solo studi che avessero come partecipanti persone diverse per età e indice di massa corporea.
Si sono così individuate 38 ricerche, che includevano centinaia di uomini e donne di età compresa tra i 18 anni e la terza età.
Nonostante le differenze tra i partecipanti, i dati su ciò che rende il cammino veloce in senso terapeutico, sono stati coerenti in tutti gli studi.
Si è concluso cioè che la camminata, per essere valutata come utile alla salute in base a tutti i parametri, è quella con un ritmo di circa 4,3 km all’ora.
Questa velocità corrisponde a circa cento passi al minuto percorsi in piano. In altri termini, se l’andatura è di cento passi al minuto la camminata diventa preventiva e terapeutica.
Il vantaggio di aver quantificato in questo modo è che ciascuno può calcolare in modo semplice il tipo di andatura, ad esempio usando i moderni contapassi.
Ovviamente, anche il dato dei cento passi non è esente da critiche e aspetti problematici, alcuni sottolineati dagli stessi autori della ricerca.
Ad esempio si fa notare che la generalizzazione ha come limite quello di non considerare le specificità personali e le situazioni estreme.
Così, se i cento passi possono addirittura essere pochi per persone di mezza età in buone condizioni, potrebbero essere troppi per chi non fa attività fisica con regolarità.
Nei casi estremi, quelli di chi fa regolare attività fisica e quelli di chi invece ha uno stile di vita molto sedentario, la scala di Borg potrebbe tornare ancora utile.
Allo stesso modo, i cento passi non valgono necessariamente per gli anziani che possono raggiungere livelli di allenamento di intensità moderata con un’andatura inferiore.
E anche la statura – con conseguente maggiore o minore lunghezza della falcata – può influire.
Fatte tutte queste eccezioni, resta il punto fondamentale.
Poter far riferimento ad un dato oggettivo, alla portata di tutti e semplice da misurare con la app di uno smartphone o semplicemente contando, non può che aiutare a tracciare l’utile confine tra una camminata semplicemente piacevole e una davvero terapeutica.
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