Rear view of female hiker with backpack sitting on top of the mountain and enjoying the view during the day.
Le sostanze tossiche dannose alla salute e all’ambiente possono essere inalate, ingerite oppure assorbite attraverso la pelle.
Anche per questo la scelta dei capi tecnici che indossiamo diventa fondamentale.
Sono loro la principale fonte di trasmissione attraverso l’epidermide di elementi tossici contenuti nei tessuti artificiali e non solo.
Nichel, cadmio, cromo, piombo, mercurio, ammine aromatiche e derivati del petrolio. Il guardaroba di casa diventa il sito di stoccaggio di tutti questi elementi nocivi alla nostra salute.
Dobbiamo diffidare soprattutto delle T-shirt, calze e intimo. Perché sono loro gli indumenti a diretto contatto con la nostra pelle.
E la componente elastica che li caratterizza è perché sono trattati spesso con derivati della gomma e delle resine.
Nel nostro caso le problematiche aumentano, da buoni amanti dell’outdoor. Facciamo attività all’aria aperta.
Quindi il calore e il sudore prodotto dal nostro corpo favoriscono l’assorbimento attraverso la cute di sostanze chimiche utilizzate per produrre e trattare i vestiti.
Infatti, la nostra epidermide non è totalmente impermeabile.
Ci sono molecole di dimensioni inferiori ai 40 nanometri (ossia un milionesimo di millimetro) che possono attraversare il derma.
Soprattutto nei punti più sensibili, dove la pelle e più sottile. Il contorno degli occhi, ad esempio.
Oppure dove il numero di canali follicolari che favoriscono la penetrazione è maggiore (le ascelle in primis).
Formaldeide, pentaclorofenolo e ftalati si annidano nel nostro guardaroba, dobbiamo prenderne coscienza.
Non vogliamo però essere allarmisti, tanto meno pessimisti, numerose aziende tessili – grazie anche all’azione di sensibilizzazione di Greepeace e altre onlus – stanno eliminando dai loro processi realizzativi molte sostanze chimiche tossiche che fino a pochi anni fa venivano utilizzate per produrre i più comuni capi di abbigliamento.
In particolare i composti poli e perfluorati (PFC) protagonisti delle performance dei nostri capi outdoor, sono ormai messi al bando dalla maggioranza delle aziende che realizzano abbigliamento tecnico.
A questi elementi dannosi per la salute si stanno cercando valide alternative. Materiali ecologici rispettosi dell’ambiente e più sicuri per chi li produce e per chi li acquista.
Certo, la moda eco-compatibile non è il massimo per gli esteti. Il design dei capi di abbigliamento non attira.
E per i contabili i costi di produzione sono superiori.
Ma ormai tutti, dai produttori agli utenti finali, stanno prendendo coscienza della necessità di usare prodotti e capi certificati.
Insomma, ne va della nostra salute.
Ad esempio, alla luce di test condotti gli ftalati sono classificati in Europa come tossici.
Quindi in tutti gli articoli destinati all’infanzia, indumenti compresi, i residui non debbano superare lo 0,001%.
Il sistema riproduttivo è il bersaglio principale degli ftalati DEHP e DBP utilizzati nell’industria tessile per le stampe colorate che decorano i vestiti.
Quindi evitate di acquistare per i vostri bambini indumenti che sono interferenti endocrini e che sono prodotti in Cina, Pakistan o Bangladesh.
dove non è vietato l’utilizzo dei ftalati DEHP e DBP.
La prima regola è verificare sempre la presenza dell’etichetta e guardare dove il capo è stato prodotto.
Se realizzato in Italia e in Europa, tendenzialmente dovrebbe essere più sicuro rispetto a quelli fabbricati in altri Paesi.
Gli indumenti che più di altri mettono a rischio la nostra salute sono quelli ottenuti da tessuti artificiali.
Si tratta di materie prime naturali che vengono trasformate in fibre grazie a processi chimici.
Oppure capi tecnici realizzati con tessuti sintetici derivati da materiali sintetici e costituiti per lo più da scarti petroliferi.
Tuttavia anche i tessuti naturali ricavati da piante vegetali – come cotone, lino e canepa – oppure da fibre di origine animale – come lana, alpaca, seta, cashmere – non ci mettono al sicuro da brutte sorprese.
Tutto dipende dai processi di lavorazioni che subiscono elementi come il cotone, la lana e la seta.
Questi tessuti possono essere impregnati di sostanze tossiche a seguito di trattamenti impermeabilizzanti, o come fissativo di tinte e pigmenti, come ad esempio la formaldeide.
Oppure il nichel usato per la tintura di fibre sintetiche o miste, e ancora i cloro fenoli adottati come antimicrobici e antimuffa.
Oppure gli antiparassitari usati per “sanificare” i container che viaggiano da un continente all’altro.
A dirla tutta anche i prodotti biologici non sono rassicuranti.
Probabilmente non prenderanno campo in futuro perché economicamente insostenibili, già a parire dalla resa ridotta dei campi coltivati dai contadini.
Nella scelta degli indumenti per camminare mirate a tinte chiare ed evitate capi neri, blu e rossi.
Questi ultimi sono quelli che più di altri possono nascondere tracce di nickel.
Questo metallo argenteo il più delle volte è responsabile di una reazione allergica cutanea.
Altre volte, all’origine dell’allergia possono esserci il detersivo, la candeggina, gli sbiancanti o l’ammorbidente utilizzati.
Sarebbe più corretto parlare di passaporto visto che tanti capi tecnici vengono prodotti fuori dai confini nazionali e addirittura europei.
Se presente, non sempre l’etichetta dell’indumento ci dice tutto: rimaniamo all’insaputa della sua provenienza, non sappiamo quali trattamenti può aver subito, non conosciamo la sua filiera produttiva e i trattamenti migliorativi apportati per aumentarne le performance e per consentirne il trasportato oltreoceano.
La verità è che alla fine non siamo consapevoli della sua storia e restiamo all’oscuro di quello che indossiamo.
In una parola, non conosciamo la sua reale “tossicità”!
Siamo così arrivati alla conclusione che i capi tecnici che indossiamo possono essere realizzati con elementi tossici e non sempre questo viene dichiarato sull’etichetta e dall’Unione Europea.
Per andare “quasi sul sicuro”, scegliamo tessuti che esibiscono certificazioni tessili che ne attestano una produzione a basso impatto ambientale.
Sarebbe auspicabile che sull’etichetta fosse sempre specificato il Paese di origine del capo tecnico e delle sue fibre tessili e dove è stata realizzata la filatura.
Evitiamo possibilmente di scegliere indumenti dove la mancata applicazione delle norme può causare seri danni all’ambiente e alle persone coinvolte nella filiera tessile.
_ Leggi altri articoli sull’abbigliamento per il trekking e l’outdoor: