Chile, Valle Chacabuco, Parque Nacional Patagonia, woman on a hiking trip in steppe landscape
“ll vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere occhi nuovi”
Marcel Proust
L’Organizzazione Mondiale del Turismo (2014) descrive il “turismo di avventura” come una forma di turismo ecosostenibile, che supporta le economie locali ed attira clienti con una buona capacità di spesa. Praticarlo significa prendere parte ad attività caratterizzate da novità e impegno fisico, in luoghi naturali remoti.
Il trekking rientra in questa particolare tipologia di turismo.
In questo ultimo periodo, a causa dell’emergenza COVID-19, a livello globale il turismo in generale e nello specifico anche quello di avventura hanno subito un’importante battuta d’arresto.
Di fatto la pandemia e le restrizioni alla mobilità attuate per contenerla hanno messo in discussione tutti i viaggi e gli spostamenti non indispensabili, che prima intraprendevamo nel nostro tempo libero e per il nostro benessere personale.
Ciò probabilmente sta impattando anche sul nostro modo di fare trekking e di essere escursionisti.
Come sta cambiando il nostro modo di vivere l’avventura e quindi l’esperienza escursionistica ai tempi del Covid-19? E quali sono gli scenari futuri, post-pandemici?
Un articolo, Adventure in the Age of COVID-19: Embracing Microadventures and Locavism in a Post-Pandemic World, pubblicato la scorsa estate da due ricercatrici, Susan Houge Mackenzie (Università di Otago, Nuova Zelanda) e Jasmine Goodnow (Western Washington University, USA), può offrirci interessanti spunti di riflessione.
Le autrici partono dalla constatazione che, da quando è scoppiata la pandemia, il 91% della popolazione mondiale ha sperimentato spostamenti ridotti.
Alcuni paesi sono stati sottoposti a restrizioni molto rigide (p.e. Cina, Italia e Nuova Zelanda), altri (p.e. Brasile e USA) a regolamentazioni più frammentate ed improntate al laissez-faire (Houge Mackenzie e Goodnow, 2020; Pew Research, 2020).
Dunque ci avvertono che, ai tempi del COVID-19, il turismo d’avventura tradizionale non solo è più difficile da realizzarsi, ma assume anche una connotazione contraria all’etica, considerato l’elemento di minaccia e pericolo che può rappresentare per l’umanità.
Difatti i governi di molti paesi, a più riprese, hanno ammonito di non praticare attività motoria lontano dalla propria abitazione, in contesti naturali remoti e con un’assunzione del rischio elevata (p.e. trekking, mountain bike, surf).
Ciò allo scopo di evitare, in caso di incidenti, un ulteriore sovraccarico sul sistema sanitario e di esporre al rischio di contagio eventuali soccorritori.
Inoltre la preoccupazione per il contagio spesso si è tradotta in chiusura generalizzata di parchi pubblici e aree forestali dove l’avventura era possibile.
Paradossalmente, di fronte a queste proibizioni e restrizioni, è come se il bisogno di prendere parte ad attività legate al turismo d’avventura diventasse più urgente: “Le persone – leggiamo nell’articolo – stanno cercando rifugio dalla crisi globale nella natura e nei benefici dell’avventura” (Houge Mackenzie e Goodnow, 2020, p. 4).
A volte alcuni, spesso a un prezzo potenzialmente elevato per sé e per la comunità, si sono spinti fino ad infrangere la legge, pur di poter alleviare questa impellenza.
Ciò potrebbe denotare, secondo le studiose, “il valore che diamo al contatto con la natura e all’avventura per il nostro benessere e il bisogno di individuare modi sostenibili per continuare a praticare questo tipo di turismo” (Houge Mackenzie e Goodnow, 2020, p. 4).
Infatti, con il prolungarsi del lockdown e delle restrizioni negli spostamenti, si è assistito all’individuazione di strategie anche molto creative per rispondere a questo bisogno.
Secondo le studiose, la pandemia ci ha costretto a praticare in modo più marcato rispetto a prima la cosiddetta “microavventura”, cioè un’avventura caratterizzata dall’essere “vicino a casa, dalle tempistiche ridotte e in grado di catturare l’essenza, le sfide, l’‘escapismo’, l’apprendimento esperienziale e l’eccitazione propri della grande avventura” (Humphreys, 2014, p. 14).
Quindi più che viaggi avventurosi “out there” (cioè in località remote, che richiedono tempo e risorse) si sono sempre più organizzate uscite avventurose “right here” (cioè in contesti locali, facilmente raggiungibili), secondo un approccio ‘locavist’.
Tale approccio è tipico di un modello di turismo caratterizzato da distanze ridotte, destinazioni locali, mezzi di trasporto a bassa emissione di carbonio e capitali (sia finanziari che sociali) investiti nelle comunità locali (Hollenhorst, Houge Mackenzie e Ostergren, 2014).
È infatti probabile che in molti, negli ultimi mesi, abbiamo riscoperto l’opportunità di vivere l’avventura in natura a due passi da casa, attraverso forme di mobilità molto ridotta, per esempio facendo trekking in parchi, aree verdi e sentieri che prima, forse perché troppo vicini, avevamo sottovalutato ed ignorato.
In effetti, secondo le autrici, il COVID-19 ci sta insegnando che potremmo riformulare la nostra idea di avventura.
Non solo mentre la pandemia è purtroppo drammaticamente in corso, come appena detto, ma anche quando la mobilità e il turismo pian piano ripartiranno, cioè quando progressivamente entreremo nella tanto auspicata fase post-pandemica.
Sempre secondo le ricercatrici, ad alimentare questo cambiamento potrebbero contribuire alcuni fattori esterni, ma anche personali (Houge Mackenzie e Goodnow, 2020).
_ La microavventura si associa a semplicità, sviluppo di abilità personali, contatto e immersione nella natura, curiosità e conoscenza di sé. Di fatto sono gli aspetti cardine dell’avventura, che si stanno però perdendo nel turismo d’avventura contemporaneo.
Invece che ambire ad organizzare viaggi in località lontane, con spostamenti ultra-veloci (p.e. aereo, automobile), dispiegando tecnologia e equipaggiamento avanzati; l’avventura potrebbe costruirsi grazie alle sfide e all’incertezza tipica dei viaggiare lento, per esempio a piedi. Microavventure e locavism potrebbero essere un’opportunità di investimento di capitali sociali, psicologici e finanziari a livello locale.
_ La pandemia potrebbe indurci a chiederci se è etico investire in attività avventurose in contesti lontani ed esotici, quando invece potremmo consolidare il legame con i nostri luoghi e la nostra comunità.
L’impossibilità a muoverci, come già accennato, potrebbe svelarci bellezze naturali locali inaspettate, da sempre sotto i nostri occhi, ma fino ad ora trascurate, poiché presi a progettare escursioni verso mete lontane o a fantasticare chissà quali imprese grandiose.
_ La pandemia potrà risolversi grazie ai vaccini, ma non sarà così per il cambiamento climatico. Anche se non siamo inclini all’approccio microavventuroso, il modo di viaggiare dovrà cambiare, a livello globale.
Ciò allo scopo di mitigare i problemi legati all’inquinamento e alle sue ripercussioni sul clima e quindi sulla proliferazione di eventuali prossime pandemie. Sarà quindi indispensabile ridurre la mobilità, l’emissione di carbonio e fare affidamento alla natura vicino a casa, più che consumare risorse energetiche per raggiungere mete lontane.
_ Molte persone probabilmente non avranno le stesse disponibilità economiche pre-pandemia, per cui investire in viaggi lunghi e dispendiosi sarà più complesso.
Ci sarà anche chi, indipendentemente dal budget, sarà più restio ad intraprendere spostamenti lunghi, per paura di esporsi ad eventuali contagi. La microavventura potrebbe essere una valida alternativa.
_ Ai tempi del COVID-19 in molti potremmo aver messo in discussione le nostre priorità e quindi avere nuove consapevolezze su come trascorrere il tempo, come investire il denaro, le energie psichiche e indirizzare gli sforzi. Durante la pandemia siamo stati “costretti” ad avere più tempo per l’introspezione e l’autoriflessione.
Potrebbero essere intervenuti significativi cambiamenti di vita ed economici. Tutto ciò potrebbe contribuire ad aprirci gli occhi sul valore intrinseco dei contesti naturali a portata di mano, del rallentare e del viaggiare a velocità umane.
Potrebbero così verificarsi opportunità di avventura più frequenti. In aggiunta, sperimentare l’avventura vicino a casa più spesso, magari settimanalmente, per una giornata o qualche ora potrebbe apportare benefici psicologici più consistenti e durevoli rispetto a lunghi e saltuari viaggi con distanze impegnative.
Questo nuovo modo di vedere le cose e differenti priorità potrebbero indurci a preferire la microavventura anche quando non saremo costretti a farlo, cioè anche quando potremo tornare a muoverci liberamente.
Alla luce di ciò, potrebbe darsi che anche a noi escursionisti l’avventura ora sembri più possibile, in quanto vicina a casa e che organizzare un trekking risulti così più semplice. Con eventuali effetti positivi sull’aderenza e sull’aumento della frequenza delle uscite in ambiente. Inoltre, questa nuova modalità di vivere l’avventura potrebbe avere avvicinato altre persone, che prima della pandemia non praticavano il trekking.
L’auspicio quindi è che, se a causa della pandemia stiamo imparando a cercare e a trovare l’avventura nel qui e ora, dove siamo e viviamo, piuttosto che in luoghi lontani e raggiungibili solo saltuariamente, anche il post-pandemia possa arricchirsi e giovarsi di questo prezioso apprendimento.
Bibliografia: