Le cime innevate si scorgono a fatica tra i palazzi di Blagoevgrad, capoluogo dell’omonimo distretto nella Bulgaria sud-occidentale, nonostante alcune delle montagne che circondano la città sfiorino i 3000 metri.
È maggio inoltrato, ma il clima è ancora decisamente rigido.
La città è una grande colata di cemento che stona non poco con il paesaggio circostante, e l’antico centro storico, fatto di case in pietra, è stato quasi inglobato dalle nuove vie pedonali del commercio, dei grandi negozi e delle luci al neon.
Per fortuna basta uscire dall’agglomerato urbano per riprendere contatto con un territorio verde, fatto di larghe vallate, boschi incontaminati e cime dai nomi misteriosi e sconosciuti ai più, ma non per questo meno spettacolari.
A nord il Danubio, a ovest i paesaggi dolci e ingialliti della Macedonia, a sud la Grecia e il Mar Egeo, a est l’Anatolia e il Mar Nero.
Un vero e proprio punto di incontro traboccante di storia secolare, in cui si mescolano dolcemente Oriente e Occidente, icone ortodosse e minareti, reperti archeologici dell’antica Grecia e reminiscenze dell’Impero Ottomano.
Questa sfilza di nomi che evocano una storia secolare, non basta però a dare il giusto peso alla ricchezza di questa zona: siamo in quella che oggi viene ingiustamente considerata da molti Europa “minore”, quell’Europa fatta di dogane e spesso stigmatizzata da pregiudizi, abituata e quasi rassegnata a passare per territorio di serie b.
I Rodopi sconfinano anche nella vicina Grecia e rappresentano la catena con la maggiore estensione del paese (14.700 km2), il Pirin ospita un grande parco nazionale annoverato tra i patrimoni dell’Unesco, mentre nel Rila si erge la cima più alta di tutti i Balcani, il monte Musala (2.925 m).
Sul Rila, la più settentrionale delle tre catene, si trova l’omonimo monastero, uno dei monumenti più rappresentativi della chiesa ortodossa bulgara e simbolo della regione.
Situato in un lungo canalone che incrocia perpendicolarmente la valle del fiume Strimone, il Rilski Manastir – questo il suo nome in bulgaro – si raggiunge dopo un lungo percorso di montagna che sembra portarci progressivamente indietro nel tempo.
Man mano che ci si avvicina a questo luogo sacro, il cemento lascia spazio dapprima a piccoli villaggi in pietra, poi a fitti boschi di querce che diventano conifere man mano che si guadagna quota.
Dopo chilometri di curve strette tra le foglie, un’effimera apertura nella vegetazione anticipa l’arrivo al monastero, costruito a più di 1.100 metri nel X secolo, distrutto durante il dominio ottomano e ricostruito a partire dalla fine del XV secolo.
Oggi questo maestoso manufatto è inserito tra i beni dell’Unesco ed è abitato dai pope ortodossi che conducono la loro vita di preghiera incuranti dei turisti.
La temperatura è ulteriormente calata rispetto al fondovalle, grazie anche alla fitta coltre di nubi e pioggia che lascia soltanto intuire il paesaggio circostante.
L’atmosfera suggestiva che circonda questo luogo si carica però all’ennesima potenza solo una volta varcato il portone d’ingresso: ci si trova di fronte a un grande cortile porticato, al centro del quale sorge una chiesa dalle cupole curvilinee e con le pareti finemente affrescate.
Alzando il naso verso il cielo, le cime degli abeti si mischiano con quelle delle montagne, mentre i profumi del bosco si mescolano con la cera delle candele votive.
È sufficiente però spostarsi due-tre vallate più a sud, a meno di 50 chilometri in linea d’aria, perché alle architetture cristiane si alternino le forme sinuose tipiche degli edifici religiosi islamici.
A una manciata di chilometri dal simbolo dell’ortodossia bulgara, i minareti svettano indisturbati al fianco degli abeti, imitandone la silhouette.
Tra queste montagne vivono infatti migliaia di bulgari di religione islamica, spesso chiamati in maniera dispregiativa Pomaks. Molti di loro hanno una duplice impronta etnica, in cui l’identità locale di provenienza turca si mischia a quella bulgara ed europea.
Per scoprire l’origine della loro particolare carta d’identità bisogna tornare indietro nel tempo fino al periodo ottomano, durante cui molti locali furono convertiti all’Islam e iniziarono a condividere i propri villaggi con i nuovi arrivati turchi.
Le strade sono dissestate e tortuose, non ci sono grandi centri e in estate tutta la valle si anima popolandosi di persone che si riversano nei campi raccogliendo a mano tuberi, verdura e frutta.
La statale che da Blagoevgrad conduce a Plovdiv – l’antica capitale della Tracia Filippopoli – passa proprio da queste vallate.
Dopo aver lasciato nuovamente Blagoevgrad e la conca dello Strimone, questa volta dirigendosi verso sud, la strada si inerpica tra i boschi fino a Bansko, dove si apre un’ampia spianata che ricorda gli altopiani alpini.
Centro sciistico frequentatissimo d’inverno, Bansko è oggi il vero cuore turistico montano della Bulgaria e si trova idealmente nel punto di incontro dei tre grandi massicci montuosi.
Da questo centro si apre un comprensorio sciistico che conta circa 75 chilometri di piste battute nel cuore del Parco Nazionale dei monti Pirin.
In città sono cresciuti nel corso degli anni hotel, ristoranti, strutture legate al turismo e spesso abbandonate a loro stesse. Lo scenario cambia drasticamente lasciandosi alle spalle la città, e di nuovo sembra accendersi la macchina del tempo.
Ai bordi delle strade è un continuo via vai di carretti, in primavera i campi si popolano di aratri a cavallo e di donne che seminano a mano.
Verso i 1200 metri del valico di Avramovo, alle falde dei monti Rodopi, compaiono due stretti binari che si affiancano alla strada statale.
È la ferrovia dei Rodopi, che attraversa la lunga vallata del fiume Nestos da Dobrinisthe fino alla città di Septemviri, sul fiume Maritsa: un percorso di 120 chilometri percorsi in circa 6 ore di sferragliamenti e scorci mozzafiato, in cui la mano dell’uomo fatica a farsi vedere.
Quale miglior modo per godersi senza fretta una natura così lussureggiante?
Per chi ama la fotografia naturalistica, la Bulgaria sudoccidentale è un territorio ricco di spunti: in questo ecosistema in cui la vegetazione tipica delle foreste dell’Europa centrale si contamina con gli influssi del mediterraneo, vive una fauna ricca e diversificata.
Queste foreste sono la dimora ideale per orsi bruni, lupi, linci, volpi, camosci e per oltre 250 specie di uccelli tra cui il grifone, il capovaccaio e l’aquila imperiale.
Sulla strada che invece da Bansko si dirige verso la Grecia, a sud, si entra nel cuore di una Bulgaria rurale e selvaggia.
Lungo il percorso che porta a Gotse Delchev si incontrano solo piccoli villaggi e case sparse, ma è proprio in questi angoli remoti che si possono provare le migliori esperienze di conoscenza con chi quei posti li vive.
Regola numero uno: sapersi perdere, assaporare il viaggio lento.
È così che ci si imbatte in piccole perle come Kovachevitsa e Leshten, due villaggi dove nelle antiche case in pietra si possono gustare i piatti tipici della tradizione locale e scaldarsi davanti ad un buon bicchiere di rakija – il più tipico dei distillati balcanici – rigorosamente fatta in casa.
Infine, durante i primi mesi dell’anno, potrà capitare di imbattervi in grandi mostri dalle fattezze umane, con maschere grottesche, ricoperte di folte pellicce animali e frastornanti campanacci.
Non preoccupatevi, sono i Kukeri, costumi tradizionali che verso la fine dell’inverno scendono per le vie e nelle piazze a spaventare gli spiriti malvagi, invocare una primavera propizia e raccolti copiosi per tutta la comunità.
Un modo in più per festeggiare l’arrivo della bella stagione…
Viaggiando per queste strade sembra quasi che l’Europa si sia dimenticata ingiustamente di questa parte del suo territorio. Su di essa è difficile trovare dei pareri o delle opinioni, positive o negative che siano.
Ciò che più manca a questa regione è infatti un attestato di esistenza, che le permetta di farsi vedere, conoscere e apprezzare agli occhi dell’Europa “che conta”.