La leggenda dei Dirtbagger: gli arrampicatori hippy dello Yosemite Park!
Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando l’occidente si preparava ad affrontare un decennio di forte crescita economica, passato il periodo buio del conflittoe della grande depressione, un gruppo di persone decide di lasciare la città alla volta della natura.
Liberi da vincoli, fuori dagli schemi, disinteressati al sogno americano, per queste persone c’era un richiamo più forte, quello della wilderness.
In quel momento storico, alcuni appassionato di outdoor con in testa il sogno di una vita libera decidono di guardare verso le montagne dell’entroterra della California.
Una macchina di seconda mano, qualche vestito, scarponcini comodi, corde per arrampicare e via lungo le highways californiane puntando verso le catene montuose che segnano il confine col Nevada.
Chi parte da sud deve arrivare a Fresno, da nord invece si raggiunge la capitale Sacramento e poi si va verso l’interno, le carreggiate dell’autostrada lasciano spazio alle statali che salgono verso le montagne.
Le case e i centri abitati sono sempre più radi e la natura, in un primo tratto ancora piuttosto brulla, diventa sempre più maestosa. Ben presto si intravedono i boschi e le pareti rocciose che sono il cuore di uno dei parchi naturali più conosciuti al mondo: lo Yosemite National Park.
Proprio in questo parco è nata una delle più affascinanti storie della wilderness americana, anzi mondiale. Un’area naturale diventata nota in tutti gli Stati Uniti già molti anni prima, grazie agli scritti di un celebre autore americano.
Yosemite National Park: un simbolo per la vita selvaggia
Lo Yosemite Park ha avuto una vita travagliata, infatti quell’area ricca di boschi e natura era diventata ben presto una meta turistica rinomata per i californiani, specie di San Francisco, che dista solo 200 miglia.
Un turismo in rapida crescita, tanto che alcuni uomini d’affari già intravedevano la possibilità di costruire resort e strutture turistiche in quelle meravigliose vallate.
In quegli stessi anni, nella seconda metà dell’800, un giovane naturalista di nome John Muir, decide di mettersi in marcia alla scoperta della natura selvaggia.
Durante il suo viaggio, che era iniziato con l’intenzione di attraversare tutto il nord America, Muir si trova al cospetto dei maestosi panorami della Yosemite Valley e rimane incantato dai boschi di sequoie, dai torrenti e dalle monumentali rocce scolpite dal tempo.
L’amore di Miur per quell’ambiente naturale e il suo instancabile lavoro di divulgazione ha portato alla nascita dello Yosemite National Park.
Lo scrittore dedicata tutta la sua vita allo studio di quell’ecosistema, scrivendo libri e battendosi affinché quello scrigno di biodiversità fosse protetto.
Nel 1889, poco più che cinquantenne, Muir si accampa con Robert Underwood Johnson, caporedattore della rivista Century, a Tuolumne Meadows, nel cuore del parco.
Il giornalista rimane folgorato da tanta bellezza e affida a Muir l’incarico di raccontare quel luogo attraverso le pagine del magazine: li inizia la storia di Muir scrittore.
I suoi racconti e romanzi narrano l’anima di quel parco incontaminato nel cuore della California e gettano il seme di quel mito della wilderness che esploderà negli anni ‘50 del novecento.
A 56 anni John Muir è ormai un’icona della cultura e dell’ambientalismo americano, tanto che riesce a convincere il Presidente Theodore Roosevelt ad andare con lui nei boschi di Yosemite, accampandosi nella natura.
Tre giorni di wilderness vera, in cui Muir fa perdere le tracce del Presidente anche ai servizi segreti. Proprio durante quelle giornate di cammino lo scrittore convince il presidente ad espandere il sistema dei parchi nazionali.
Le parole e le suggestioni di John Muir risuonavano nella testa di questi pionieri della wilderness, che vedevano proprio nello Yosemite National Park la loro meta prediletta.
Un po’ folli e un po’ visionari decidono di lasciarsi alle spalle il superfluo e il sogno di una vita agiata in città per inseguire l’ideale di una vita al ritmo di Madre Natura, godendo di ogni singolo attimo di vita.
Questi hippy con la passione per la natura arrivano nel parco
Superati i confini del parco l’ambiente naturale è maestoso, la strada prende quota mentre si attraversano foreste di sequoie secolari alte decine di metri.
All’orizzonte si possono vedere le maestose pareti verticali di roccia granitica di El Capitan e dell’Half Dome, di cui tanto ha scritto proprio John Muir nelle sue opere e ritratte anche dagli scatti del pioniere della fotografia Ansel Adams.
Percorrere le strade del parco per questi uomini è l’avveramento del loro sogno americano: vivere tra questi alberi, liberi dai ritmi frenetici di una società che ha come unici valori il guadagno e l’accumulo di ricchezza.
Per questi ragazzi l’unico valore è il tempo, che deve essere vissuto nel miglior modo possibile, che per loro significa arrampicare, fare lunghi trekking e stare in comunità.
Il denaro serve solo per l’essenziale, qualche vestito e la poca attrezzatura necessaria per le scalate, il superfluo non trova spazio nei loro piani.
Arrivati nel Parco capiscono che quello è il luogo in cui vivere. Dentro le loro grosse station wagon hanno tutta la loro vita: qualche vestito, scarpe comode, corde, imbraghi e moschettoni per affrontare le pareti.
Lungo la strada che porta verso il cuore del Parco si trova un famoso campeggio, il Camp 4, che diventerà la loro casa.
Iniziano a vivere secondo i ritmi della natura, passano il loro tempo nei boschi, camminano, esplorano e iniziano ad arrampicarsi su quelle mastodontiche pareti rocciose, che negli anni successivi avrebbero attratto alpinisti da ogni parte del mondo.
Nel fiume Merced, che scorre nel bel mezzo del parco, il pesce non manca e quello sarà il menù di gran parte dei loro pasti, coltivano qualche verdura e non hanno bisogno di molto altro.
Per diversi anni questi alpinisti ribelli sono una comunità abbastanza piccola, qualche decina di persone, ma col passare degli anni e col passaparola, il Dirtbagging diventa una vera e propria leggenda.
La sua fama cresce di pari passo con la rivoluzione culturale degli anni ‘60, questa comunità di scalatori, che vive nel parco di Yosemite e passa le giornate tra boschi e pareti rocciose ben presto diventa leggendaria.
Tra questi gruppi di amanti dell’outdoor si sono formati alcuni degli scalatori americani più forti di sempre, che avevano trovato nel Dirtbagging la condizione migliore per allenarsi e sviluppare le proprie capacità.
Giorni interi ad arrampicare, su pareti molto difficili e in una comunità di scalatori con cui confrontarsi per scambiarsi consigli e suggerimenti.
Sull’Half Dome e su El Capitan per anni questi ragazzi hanno aperto nuove vie e battuto record di velocità su quelle già aperte, anni d’oro per il loro movimento, che per almeno un decennio ha rappresentato forse uno dei migliori esempi della comunità hippie.
Il Dirtbagging comincia a dare fastidio
La fama di questa comunità ben presto arriva in tutta la California e in gran parte degli Stati Uniti, decine di ragazzi arrivano nello Yosemite National Park col desiderio di unirsi ai Dirtbagger.
Nel giro di poco tempo il numero di persone che vive accampata nel Camp 4 aumenta e le autorità del Parco sono costretta a prendere provvedimenti e sgomberare l’area di sosta.
In un primo momento viene introdotto il limite di due settimane per la permanenza nel campo, ma la presenza di questi arrampicatori sta infastidendo gli albergatori e i ricchi ospiti che si recano nel parco per le vacanze. Così l’amministrazione del parco dichiara la pratica del Dirtbagging fuori legge.
Questo non ferma però questi appassionati, che non capivano perché non potessero vivere liberamente nella natura selvaggia, nella terra che è di tutti, senza dover rendere conto a nessuna autorità.
Da questo momento la loro vita diventa ancora più avventurosa, costretti a lasciare il campo iniziano a vivere in mezzo ai boschi oppure in alcune grotte poco distanti dall’accampamento.
Devono imparare perfino a convivere con gli orsi, che abitavano proprio quelle grotte. Il fatto che non sia più possibile vivere tutti insieme sfalda la comunità, alcuni lasciano il parco e abbandonano il sogno, per quelli che restano la vita si fa più dura.
Prima i pochi soldi di cui avevano bisogno se li procuravano vendendo corde e imbraghi costruiti a mano, ora che sono “fuorilegge” anche questa piccola fonte di denaro viene meno.
Le cose si fanno difficili, anche i più duri e puri iniziano a vacillare fino a che dal cielo non arriva un aiuto inatteso a cambiare le loro vite.
Durante una giornata d’inverno del 1977, mentre i Dirtbagger sono intenti a pescare qualche pesce per mangiare, in lontananza si sente un ronzio nel cielo, all’orizzonte compare un piccolo aereo che perde quota e, dopo pochi istanti, il tonfo.
L’aereo cade in un lago ghiacciato, dopo poche ore sul posto ci sono polizia ed F.B.I., il velivolo era di un cartello della droga che lo usava per trasportare la merce. Impossibile però recuperarlo prima della primavera, così le operazioni vengono rimandate.
Il freddo può fermare la polizia ma non i Dirtbagger, abituati a questo clima. Alcuni di loro prendono una macchina e vanno in città per recuperare delle mute e materiale da immersione.
Riescono a recuperare dall’aereo diversi quintali di marijuana, grazie a questo ritrovamento la loro vita cambia, infatti con i proventi della vendita riescono a comprarsi delle attrezzature di nuova generazione e a mettere da parte un po’ di scorte di cibo e viveri.
Questo dono improvviso gli permette di dare nuova spinta alle loro avventure, in primavera con le nuove attrezzature e con qualche agio in più, possono affrontare di nuovo le pareti rocciose pieni di energie
In quegli anni aprono molte nuove vie sulle pareti dell’Half Dome e di El Capitan che saranno percorse nei decenni successivi da migliaia di scalatori.
Insomma dopo qualche anno di appannamento la leggenda dei Dirt Bagger, che ha già influenzato più di una generazione di amanti dell’outdoor e di appassionati di arrampicata, torna a splendere.
Anche Alex Honnold, uno dei climber più forti del mondo, è cresciuto sulle pareti dello Yosemite National Park, seguendo le vie aperte dai padri fondatori del Dirt Bagging.
Non ha fatto direttamente parte del movimento, negli anni ‘60 e ‘70 non era ancora nato, ma nonostante ciò la leggenda di questa comunità di arrampicatori liberi lo aveva colpito fin da piccolo facendo nascere in lui la passione per l’arrampicata.
Per migliorare come arrampicatore anche lui ha passato diverse estati nello Yosemite National Park arrampicando tutto il giorno su quelle pareti rocciose, seguendo i consigli di alcuni vecchi Dirtbagger che ha incontrato nel parco durante i primi anni di arrampicata.
Una storia irripetibile che ha lasciato un segno
Quella dei Dirtbagger è stata una storia irripetibile, una comunità di persone che ha deciso di vivere all’aria aperta, con pochissimi beni materiali e praticamente senza soldi.
Una quotidianità fatti di escursioni e tante scalate sulle pareti dello Yosemite park, persone che avevano come valore il tempo, che doveva essere di qualità, quindi vissuto in natura e in compagnia.
Lo hanno detto e lo hanno fatto, fino a scontrarsi con il potere costituito, che nel loro piccolo mondo era quello dei ranger che li avevano banditi dalle aree di sosta.
Non avevano mai accettato questa decisione, per loro la natura deve essere rispettata, protetta ma sempre accessibile.
Nessuna autorità dovrebbe poter impedire di stare liberi nei boschi, il loro compito dovrebbe essere semmai quello di proteggere quei boschi dalla distruzioni dell’uomo.
Quello tra questi arrampicatori liberi e i ranger, tra il loro modo di vedere il mondo e quella visione di società dell’America del dopoguerra è un conflitto che è andato avanti per anni.
Ancora oggi negli Stati Uniti si parla di terre pubbliche e della necessità di tutelarle e toglierle dal controllo di privati o aziende, affinché rimangano libere e accessibili.
Quello dei Dirtbagger era forse un sogno troppo utopistico, un esperimento sociale destinato a non ripetersi, ma il loro ideale invece arriva forte oggi, in cui il nostro mondo è minacciato dall’ingordigia umana e il tempo per salvarlo scarso.
La natura selvaggia deve essere tutelata ma aperta a tutti, soprattutto non deve essere piegata alle logiche dell’economia di mercato e del progresso ad ogni costo.
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