Il parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise nasce nel 1922 come ampliamento del territorio, già soggetto a tutela, della Costa Camosciara in val Fondillo.
Ci troviamo lungo le antiche vie della transumanza, lo spostamento stagionale delle mandrie e greggi che dall’Abruzzo, via Molise, cercavano nel Tavoliere i pascoli invernali.
Con l’arrivo del caldo gli animali venivano riportati indietro, nelle zone più fresche dei monti abruzzesi.
Alle suggestioni naturalistiche delle valli del Parco si uniscono i tanti itinerari che conducono a visitare i piccoli borghi.
Un tuffo nel Medioevo che inizia dagli antichi centri storici dove viuzze strette e lastricate sembrano perdersi tra le case.
Sono i monti a costituire la cornice naturale alle vallate del Parco e tra questi la vetta del Marsicano che con i suoi 2245 m rappresenta la cima di maggiore elevazione.
Nel Parco la montagna si presenta nella veste appenninica, dall’aspetto levigato e prativo, e in quella alpina, con versanti decisamente più aspri e rocciosi.
Il lago Vivo è l’unico specchio d’acqua di origine naturale, mentre non mancano rii e torrenti a solcare e disegnare i versanti.
Scendendo di quota, dalle praterie alpine si entra bruscamente nell’orizzonte del bosco.
Le faggete coprono il 60% del territorio del Parco e l’autunno è il loro momento per i fantastici colori declinati nelle tante sfumature dovute alla quota o all’esposizione.
È l’orso Marsicano, il simbolo del Parco, che ci accoglie all’ingresso dei Centri Visita e sui manifesti.
Diverso dall’orso delle Alpi, di cui è una sottospecie, è endemico di questa porzione dell’Italia Centrale.
Anche il lupo appenninico è presente nel territorio.
Di abitudini notturne, durante il giorno frequenta zone isolate rendendo oggettivamente difficile il suo avvistamento.
Per osservare da vicino questa specie è possibile visitare la recinzione dell’Area Faunistica presso il Museo del Lupo a Civitella Alfedena.
Qui, con un poco di pazienza, si potranno intravedere gli esemplari ospitati all’interno dell’area.
La sera ci è capitato di sentire gli ululati dei branchi provenire dai recessi del Parco: un suono primordiale, allo stesso tempo affascinante e sinistro, così diverso dal familiare ululato dei nostri cani domestici.
È il loro modo di comunicare e di far sapere che quel territorio, sì, appartiene proprio a loro.
Tra la fine dell’estate e l’autunno, c’è un altro suono che il visitatore impara presto a conoscere.
Sui sentieri che attraversano i colorati boschi autunnali, il silenzio regna sovrano, interrotto solo dal rumore dello strame di foglie sotto i nostri piedi.
Improvvisamente, e ripetute volte, eccolo: il bramito del cervo maschio. Più cupo di un muggito, è quasi un ruggito che sembra perdurare a lungo nell’aria.
In settembre e ottobre, il periodo della riproduzione, il cervo emette questo suono poderoso, a rimarcare la propria forza sui rivali.
Per osservarli da vicino non abbiamo dovuto faticare molto: all’uscita da Civitella Alfedena, al mattino, piccoli gruppi di cervi pascolano nei prati.
Allo stesso modo, all’imbrunire, è facile imbattersi nelle snelle ed eleganti sagome delle femmine che brucano tranquillamente negli appezzamenti verdi del centro cittadino.
L’incontro più sospirato però è stato quello con il camoscio appenninico, a lungo cercato durante la nostra permanenza nel Parco.
Diverso dal parente alpino, soprattutto per il colore del mantello, il camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata) è stato reintrodotto dopo la costituzione del Parco d’Abruzzo.
L’azione di tutela ha permesso la formazione di una popolazione considerevole e stabile, tanto che pare ampiamente superato il pericolo dell’estinzione.
Specie dall’indole schiva, va ricercato con pazienza osservando gli alti pascoli e le creste e va avvicinato con l’attenzione e il rispetto dovuti, senza creare disturbo.
Li avvisteremo quasi ad ogni escursione, ma solo all’ultimo giorno, sui dirupi del monte Amaro, riusciamo ad avvicinare un nutrito gruppo di esemplari.
Gli animali si dimostrano anche più confidenti dei loro cugini alpini: adulti, mamme e cuccioli si lasciano così fotografare a lungo.
Questo perché sono consapevoli che la posizione da loro occupata garantisce un ampio margine di sicurezza sui goffi bipedi che li stanno osservando!
Dal bestiame dei pascoli e dai prodotti dell’agricoltura deriva naturalmente una cucina ricca di sapori tradizionali.
Il piccolo Marzolina viene prodotto dal latte di capra nel mese di marzo e consumato fresco o dopo stagionatura.
Oltre a questo singolare formaggio, il pecorino, la ricotta e il caciocavallo completano l’ottima produzione casearia.
L’ampia scelta di primi piatti comprende i maccheroni alla chitarra, la pasta ottenuta con lo strumento dotato di corde, la zuppa e gli gnocchi con gli orapi, una sorta di spinaci selvatici.
A seguire non può certo mancare l’assaggio dei saporiti arrosticini, sottili spiedini di quadretti di carne di pecora cotti alla brace.
Concludiamo il menu con il Ratafià abruzzese, ottenuto da amarene fermentate e Montepulciano: un liquore rosso e forte, superato in gradazione dal Centerbe.
Per dolce il torrone di Alvito, oggi anche nel formato piccolo, nato già nel Settecento.
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