Il mondo va avanti, il tempo corre veloce e lui resta ai margini di una realtà diversa, fatta di volti anonimi, volti di turisti che salgono in valle rinunciando solo per pochi giorni alle comodità della città.
Il vecchio è consapevole che modernità, prosperità e tecnologia hanno modificato il rapporto tra uomini e monti, tra montagna e montanari.
Non è più tempo di un’economia ai limiti della sopravvivenza, quando le Alpi rappresentavano una risorsa importante per taglialegna, carbonai e pastori, persone di bassa cultura ma con infinita saggezza per sfruttare le risorse della natura senza abusarne ed esaurirle.
Ora la montagna si è svuotata dei suoi contenuti più veri, trasformata per opera del turismo, addirittura oltraggiata da impianti industriali in zone prossime alla pianura.
Leggi inique e la politica comunitaria hanno contribuito ad aggravare la situazione, anzi, l’abisso che separa la città dalla montagna si fa sempre più profondo.
Il countdown va avanti per accondiscendere alla ragione del profitto e a una gestione sbagliata del territorio alpino e appenninico. È un orizzonte nebuloso, diverso da quello che era abituato a scrutare il vecchio dai suoi monti.
La rottura dell’isolamento delle valli alpine grazie alla costruzione di nuove strade ha portato all’esodo verso le città dotate di maggiori servizi.
Si è però registrato anche il fenomeno inverso, perché lo spopolamento dei borghi e l’abbandono della vita rurale è stato bilanciato dal maggiore interesse dei turisti per la montagna, le sue tradizioni, la sua cultura.
Fortunatamente sulle nostre montagne vivono popoli che, frantumati dagli eventi della storia e nel rispetto di legittimazioni territoriali non proprie, rappresentano ancora vere isole etniche e linguistiche.
Luoghi privi di confini politici ma orgogliosi di una propria cultura, di un proprio idioma, di una coscienza di appartenenza tipica dei gruppi minoritari.
Le dieci più importanti minoranze presenti sul territorio alpino, riconosciute dalla legge n. 482 del 15.12.99, sono rappresentate da:
Una grande sfera etnica e linguistica che oltre a essere sacrificata nel rispetto di legittimazioni territoriali non sue, corre il pericolo di un definitivo tracollo a causa dello spopolamento della montagna.
Nelle vallate dolomitiche ancora oggi sopravvive quella che un tempo fu la dominante cultura di gran parte dell’arco alpino orientale.
Sono i Ladini, una comunità linguistica ai limiti dell’estinzione, osteggiata nei primi decenni del Novecento, quando con l’affermarsi dell’ideologia nazionalista si diffuse la convinzione che il ladino fosse un dialetto alpino anziché una vera lingua autonoma nata dalla fusione del linguaggio retico con il latino volgare.
.Storia di oggi sono le 30.000 persone che utilizzano l’idioma ladino: il 98% in Val Badia, il 75% in Val Gardena, percentuale che scende al 50% in Val di Fassa e solo il 20% a Cortina, centro internazionale di prima grandezza per il turismo estivo e invernale.
È una minoranza in “ritirata” che riesce ad annullare le differenze linguistiche tra italiani, tedeschi e ladini quando con l’arrivo dell’estate si accendono i riflettori sulle feste ladine.
La “Gran festa d’Istà” di Canazei è una delle più affascinanti.
Sempre in Val di Fassa costumi, artigianato e storia rivivono nel Museo Ladino di Vigo di Fassa, ideato e curato dall’Istituto Culturale Ladino locale.
Un’altra minoranza etnica culturalmente omogenea e priva di confini politici è quella dei Cimbri, considerati in Europa centrale i germanofoni del Sud.
I capostipiti di lingua tedesca, provenienti dalla Baviera e dal Tirolo settentrionale, popolarono dieci secoli fa terre allora disabitate, l’area dei Sette Comuni Vicentini, per poi colonizzare gli altipiani trentini e la Lessinia, ultimo fronte alpino prima della pianura padana.
I cimbri vivono lontani dai confini naturali delle Alpi Nord-Occidentali, in piena area linguistica italiana, in una realtà geografica che costrinse queste piccole comunità rurali, a ritrovarsi sulla linea del fronte allo scoppio delle ostilità tra Austria e Italia.
Il primo conflitto mondiale rappresentò una guerra fratricida per questa minoranza etnica: infatti l’Altopiano di Luserna e Lavarone divenne teatro di battaglie cruente tra i cimbri veneti sul fronte italiano e quelli trentini sulla linea austriaca.
Oggi sopravvivono solo tre enclavi linguistiche dell’idioma cimbro:
_ La più numerosa è quella di Luserna, che insieme a Lavarone e Folgaria è la continuazione orografica trentina dei Sette Comuni vicentini della storica Federazione Montana dell’Altipiano di Asiago.
_ La terza isola linguistica si trova nel territorio dei Tredici Comuni veronesi, a Giazza, frazione di Selva di Progno, dove peraltro è ospitato un Museo Etnografico.
Questa struttura ospita una preziosa raccolta di oggetti, attrezzi, arnesi della tradizione artigianale e agro silvo-pastorale dei cimbri della Lessinia, oltre a reperti di arte scultorea popolare, nonché il dipinto murale denominato La Madonna lauretana.
Nell’ampia famiglia delle minoranze germanofone non possiamo trascurare quella carinziana, dove il dialetto germanico parlato è lo stesso di quello utilizzato nella vicina regione austriaca della Carinzia.
Dai Carinziati dell’alta Valle del Piave, che mantengono una propria identità culturale e linguistica, ai Mòcheni insediati nella Valle del Fersina, che da Pergine s’inoltra verso la catena del Lagorai.
Un’altra minoranza alla quale s’interessò lo Stato italiano nella volontà di unificare le regioni a Sud del confine naturale delle Alpi fu quella dei Sudtirolesi.
Oggi, numeri alla mano, è schiacciante la supremazia della lingua tedesca in una regione dove la cultura alpina è rimasta legata agli antichi valori, pur riconoscendo le innovazioni e sapendosi modernizzare.
In Alto Adige lo scontro etnico fu forse meno violento che ai confini orientali con sloveni e croati: dopo la Seconda Guerra Mondiale l’Italia diede al Südtirol precise garanzie di rispetto delle autonomie culturali e linguistiche della “minoranza” tedesca.
Nella patria dell’eroe nazionale Andreas Hofer, il 70% della popolazione è rappresentata da germanofoni, mentre gli italiani scendono al 26%, il restante sono ladini.
Oggi l’Alto Adige/Südtirol resta una delle regioni più sviluppate, meglio conservate e più vivibili delle Alpi.
Nelle Alpi occidentali, grazie all’isolamento delle valli più interne, sono sopravvissute alcune minoranze etniche legate da una sensazione di assoluta inscindibilità e da una forte comunanza di destini.
I Walser sono testimoni di come in passato i crinali dei monti non segnassero confini, ma fossero al centro di comunità stanziate sui diversi versanti.
Questa popolazione di origine alemanna nel X secolo germanizzò una zona dell’area alpina centro-occidentale, l’attuale Svizzera tedesca.
Alla ricerca di nuove terre da colonizzare, centinaia di gruppi familiari lasciarono il Vallese per scendere verso Sud, nella Valle d’Ayas e di Gressoney in Valle d’Aosta, e in Valsesia, Valle Anzasca e Valle Formazza in Piemonte.
Non fu un esodo di massa, in primavera piccoli gruppi valicarono i passi per raggiungere e stabilirsi in zone ancora libere; solo quando il nuovo insediamento si era perfezionato, altri nuclei si aggiungevano ai primi coloni.
L’aspetto più appariscente della cultura walser è l’architettura delle case, soprattutto nelle frazioni di Alagna e in Val Vogna, dove loggiati di legno avvolgono con le loro rastrelliere le facciate e i due fianchi laterali delle case destinate all’essicazione di fieno, canapa e segale.
Altro edificio tipico è lo “stadel”, il granaio dalle pareti di tronchi di legno sostenuto da “funghi” formati da un tronco di legno e da una pietra rotonda; rappresentava una soluzione funzionale per consentire l’aereazione del grano.
L’insediamento di questa popolazione di stirpe tedesca si può riscontrare tutt’oggi nella lingua parlata (il “Titsch”), nei toponimi, nei nomi delle famiglie locali, alcuni poi latinizzati e italianizzati.
Volendosi avvicinare al mondo walser suggeriamo una visita alle frazioni alte di Alagna, in particolare Pedemonte dove si conserva una fontana con due vasche monolitiche e il Walser Museum.
A cavallo delle Alpi Cozie riemerge lo spirito d’appartenenza dell’antica repubblica occitana, la lingua provenzale e il tramandarsi di usi e costumi secolari degli Occitani.
L’Occitania nel XIX secolo era la più grande “nazione senza Stato” d’Europa, oggi vi si riconoscono gli appartenenti a una comunità linguistica che comprende l’alta Val di Susa, altre quindici valli alpine piemontesi e il comune di Olivetta San Michele in provincia di Imperia.
Importante contributo alla valorizzazione della storia e della cultura occitana sono l’Ecomuseo “Colombano Romean” di Oulx e la Fiera Franca (prima domenica di ottobre), manifestazione che risale al passaggio da Oulx dell’esercito di Carlo VIII nel 1494.
Per risarcire gli abitanti dei danni subiti, il sovrano concesse loro di tenere annualmente una Fiera franca da imposte e con diritto di franchigia.
Per concludere il nostro breve ma intenso giro all’interno delle più suggestive civiltà di montagna delle nostre Alpi accenniamo al Mondo Francoprovenzale, non dissimile da quello occitano fatta eccezione per le differenze linguistiche.
C’è poi il popolo brigasco protagonista di spettacolari transumanze primaverili che partivano da Briga, Verdeggia e Realdo verso gli alpeggi delle Alpi Liguri e delle Alpi Marittime.
Una consuetudine che si ripeteva tutti gli anni!
“Chal prene lou tep coumo ei ven e lou mount coumo ei vai” – Bisogna prendere il tempo come viene e il mondo come va. Detto popolare occitano.
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