A vederlo sembrava un ragazzino, basso di statura, lunghi capelli che lambivano le spalline d’oro dell’uniforme, occhi grigio intenso e uno sguardo severo e impenetrabile. Era il ritratto di un giovane corso, generale a soli 27 anni, che comandava un’armata di straccioni: di li a poco avrebbe conquistato l’Italia, poi l’Europa intera.
In una vecchia casa nei pressi di Monte Legino, il comandante dell’Armata d’Italia, Napoleone Bonaparte, fissava una pentola vuota posta sul camino della cucina. Nella testa aveva un unico problema: sconfiggere l’armata austrosarda, arrivare il più velocemente possibile a Cairo Montenotte per dividere le forze del nemico e batterle separatamente. Insieme a lui c’era un altro giovane generale, Alexandre Berthier il quale, preso da continui crampi per la fame, rifletteva su come assolvere gli ordini del suo superiore, ma soprattutto pensava alla pace e quanto bello fosse il paesaggio che lo circondava.
I fanti francesi, sparsi per tutto il territorio della Val Bormida avevano già avuto modo di conoscere la ricchezza di quella terra: campi coltivati, colline con vigneti, una terra generosa che regalava cibo in abbondanza. Purtroppo, i metodi seguiti dai soldati dell’Armée d’Italie per sfamarsi non incontravano certo i favori della popolazione locale che, vessata e maltrattata dagli occupanti, subiva la guerra più di chiunque altro.
In poche ore i francesi e la loro controparte austriaca e piemontese, diedero inizio alla macabra danza della guerra: i cannoni tuonavano in direzione di Montenotte dove si era acquartierato il generale austriaco Argenteau. Gli stretti viottoli del paese brulicavano di soldati in uniforme bianca (austriaci) che cercavano riparo dalla furia devastatrice dei soldati rivoluzionari. Non c’era nulla di eroico, nessun romantico ideale di libertà: il vero motore dei soldati era il cibo, l’acquavite e il tanto agognato “soldo”.
Questi tre elementi mancavano da tempo ai coscritti di Bonaparte e le promesse da lui fatte, circa le abbondanti libagioni e ricchezze della Pianura Padana, li spingeva a qualsiasi azione, anche la più disperata. In poco tempo tutte le difese austro sarde caddero sotto i fendenti delle baionette francesi: dopo Montenotte (12 aprile 1796), fu la volta di Millesimo (13 aprile 1796) e Dego (15 aprile 1796). In appena quattro giorni Buonaparte aveva messo in ginocchio l’esercito più potente d’Europa, quello austriaco, e annientato il contingente piemontese.
Il nostro viaggio parte in provincia di Savona e più precisamente da Bardineto dove troneggiano i ruderi del castello Del Carretto: il borgo è piccolo e conserva una sua originalità che stuzzica la nostra voglia di visitarlo e percorrere le stradine del suo bel centro storico.
Dopo una breve sosta a Calizzano e una passeggiata nel centro del paese, ci spostiamo subito alla volta del luogo dove si combattè la prima battaglia della campagna del 1796: Cairo Montenotte.
Non appena giungiamo in prossimità del paese non possiamo fare a meno di sollevare la nostra testa per ammirare i ruderi dei tre palazzi degli Scarampi che dominano tutto il centro storico. Il castello venne distrutto nel XVII allorquando il duca di Savoia entrò in guerra contro la Repubblica di Genova: la città fu devastata dalle cannonate sarde e dai saccheggi dei soldati. Per accedere alle viuzze del centro storico dobbiamo oltrepassare la maestà di porta Soprana, il simbolo della città di Cairo Montenotte. Questa costruzione, dai toni austeri, rappresenta il centro dell’antica cinta muraria che circondava la città; gli fa da specchio, dal lato opposto della città, Porta Sottana che apriva la strada in direzione di Alba e Cortemilia. Dopo aver ammirato Palazzo Scarampi, sede prestigosa in cui soggiornò anche il re di Spagna Filippo V (1702), si prosegue verso nord est per apprezzare la bellezza naturale dei dintorni di Cairo.
I boschi di Montenotte racchiudono al loro interno la splendida Riserva Naturalistica della Rocca dell’Adelasia. La riserva boschiva dell’Adelasia rappresenta in modo significativo le peculiarità forestali della Val Bormida dove coabitano elementi tipici dell’ambiente mediterraneo con quelli dell’ambiente padano e continentale.
Seguendo idealmente il borbottio dei cannoni francesi ci dirigiamo verso la seconda meta “napoleonica”: Millesimo. Di una certa attrattiva è il Pontevecchio o Gaietta: è uno dei pochi esempi in Italia di ponte fortificato e si trova citato nell’atto di fondazione del borgo datata 1206. A richiamare la presenza napoleonica in città c’è il Palazzo Comunale: nella sala consiliare si trova l’altare presso il quale, il 17 agosto 1809, Papa Pio VII, prigioniero di Napoleone, presiedette alla Santa Messa. Come la vicina Cairo, anche Millesimo, ha visto la presenza del marchesi del Carretto: il castello, insieme ai fortilizi di Cengio, Cosseria e Roccavignale, costituiva un quadrilatero a protezione della via tra Piemonte e Liguria attraverso le Langhe.
Per coloro che desiderano visitare i luoghi di culto due sono i siti da non perdere: Santa Maria Extra Muros e il Santuario del Deserto. Il Santuario, l’edificio religioso più importante della Val Bormida, fu oggetto di violento saccheggio da parte delle truppe francesi le quali rubarono la Corona della Madonna e razziarono tutti gli ex voto d’argento.
Dopo una passeggiata in centro, è d’obbligo una visita a Villa Scarsella dove ha sede il museo napoleonico e, perché no, una gustosa pausa gastronomica in uno dei ristoranti tipici, magari degustando un piatto a base di tartufo al quale la città dedica addirittura una “Festa Nazionale del Tartufo”. Per tutti gli amanti dei funghi Millesimo è un vero e proprio centro d’eccellenza: nelle aree boschive di Bric Tana e nella Valle dei Tre Re si scatena la stagionale caccia al porcino più bello. Puntiamo a nord: la polvere della cavalleria austriaca in ritirata ci guida verso Mombasiglio dove merita assolutamente la visita il castello con annesso il museo napoleonico. Dopo brevi tratti di strada puntiamo decisamente verso nord-est fino a raggiungere il traguardo del nostro viaggio, vale a dire Marengo.
Sulla strada che conduce nell’alessandrino le tappe sono molte e sarebbe troppo lungo elencarle tutte. Basta ricordare che questa è una zona ricca di storia, ma non solo: ottimi vini e prodotti tipici invitano sicuramente a numerose soste. Infatti, la posizione di confine fra Piemonte e Liguria ha influenzato in modo profondo la cucina dell’Alta Val Bormida; una cucina basata su piatti robusti e appetitosi, dal sapore schietto, che hanno come ingredienti principali i prodotti tipici del territorio. Sono diffusi i ravioli alle erbette o con farina di castagne e le torte a base di zucca o d’erbe di campo. Un posto di rilievo meritano i funghi, di cui il territorio è ricco. La terra dell’Alta Val Bormida è anche luogo dove nascono i tartufi molti dei quali della qualità più pregiata come il tuber magnatum pico (tartufo bianco) e il tuber melanosporum (tartufo nero).
Una visita merita sicuramente il Museo Civico di Alessandria che offre, attraverso le antiche sale di Palazzo Cuttica, un’efficace colpo d’occhio sulla storia dell’alessandrino: i beni archeologici con reperti di Villa del Foro e del tortonese, la collezione di sculture, i corali miniati e i paramenti di S. Pio V, gli arazzi fiamminghi, importanti dipinti del ‘500 e del ‘600 e una selezione di opere di Francesco Mensi. Una sala del palazzo è dedicata al Gabinetto delle stampe antiche, moderne e contemporanee. La sala napoleonica custodisce cimeli ritrovati sul campo di battaglia oltre numerosi documenti e persino un paio di calza appartenute a Napoleone Imperatore.
Sul tragitto verso Marengo, merita una sosta il Museo dei Campionissimi di Novi Ligure. Per tutti gli appassionati delle due ruote sarà possibile visitare un tempio dedicato alla bicicletta e ricordare le imprese di campioni come i novesi Fausto Coppi e Costante Girardengo. Il museo, una struttura moderna ben allestita, custodisce svariati ricordi appartenuti ai due campioni novesi oltre a numerosi esemplari di biciclette dalla draisina al moderno titanio. Teche, colonne multimediali, filmati d’epoca e cartelli esplicativi guidano il visitatore attraverso la storia di uno sport fatto di fatica, sacrifici, orgoglio e soddisfazioni.
Arriviamo finalmente nei dintorni di Alessandria e, con un salto temporale, ci ritroviamo nella piana di Marengo. Osserviamo in silenzio la spianata che si para davanti a noi, chiudiamo gli occhi per un istante e potremo sentire ancora le urla dei sergenti francesi che ordinavano ai fanti di allinearsi e prepararsi per l’attacco. Dall’alto di Torre Garofoli lo sguardo del Primo Console scrutava con apprensione l’orizzonte seguendo le manovre dei suoi soldati. In quei drammatici momenti non vi era tempo per pensare al cibo, tuttavia Bonaparte, colto da una fame insopportabile, chiamò a rapporto il suo cuoco, Dunand, e gli ordinò di preparare qualcosa di gustoso. Lo chef, a corto di vettovaglie, dovette improvvisare: da qui nacque il mito del “pollo alla Marengo” una ricetta che ha fatto il giro del mondo e che ancora oggi è al centro di alcune dispute circa gl’ingredienti usati.
Centro della visita al campo è il Parco della Villa di Marengo, sede dell’ex museo della battaglia e oggi luogo di culto per i molti appassionati di storia militare napoleonica. Il museo, chiuso da anni in seguito ai danni causati da una scossa di terremoto e ora in fase di restauro, ha le sale spoglie: i cimeli della battaglia sono invece conservati presso il Museo Civico del Comune di Alessandria a Palazzo Cuttica. In questa zona, oltre al celeberrimo “pollo alla Marengo”, si possono assaporare vini rinomati come il Dolcetto il cui gusto, ricco e corposo, fece dimenticare a Bonaparte il suo amato Chambertin.
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