Siamo in Aspromonte, al centro del Mediterraneo. È facile innamorarsi di questa montagna aspra e di tormentata e drammatica bellezza, punteggiata da insediamenti difficilmente accessibili, ma dalle salde radici culturali.
La ragione antepone la costa più sicura e confortevole a una meravigliosa esperienza paesaggistica, culturale e umana, verso terre votate alla pastorizia e all’agricoltura; noi però seguiamo il cuore per scoprire la Calabria più vera, testimone della cultura arcaica, classica, grecanica e medioevale.
Un viaggio che fluttua tra le gole e le montagne sovrastanti il letto dei fiumi, ai piedi di paesi fantasma dove resistono all’incuria le antiche testimonianze di vita dei Greci di Calabria.
La fiumara è il trait d’union per scoprire questi due aspetti contrastanti dell’Aspromonte: la delicata brezza delle marine e la mole imperiosa delle montagne.
Il paesaggio sorprendentemente legato all’acqua è attraversato da fiumare senza una vera e propria sorgente, con alvei che prossimi alla foce raggiungono dimensioni davvero notevoli, come il Melito, il Bonamico e soprattutto l’Amendolea.
Quest’ultima nel suo scorrere verso la costa attraversa i meravigliosi boschi dell’Aspromonte alimentata dal Menta, oggi sbarrato da una grandiosa quanto inutile diga che doveva fornire acqua potabile alle case di Reggio Calabria. Dopo le meravigliose cascate del Maesano nell’alta valle, seguono i meandri che s’insinuano tra i rilievi del massiccio più meridionale della penisola, per poi sfociare nel mar Jonio presso Condofuri, dove la fiumara alimenta di terra fertile la rigogliosa valle dell’Amendolea.
Solo qui il bergamotto ha trovato il microclima giusto per crescere, ma nel periodo estivo la falda freatica impoverita d’acqua, sottratta dalla diga del Menta, mette in crisi i coltivatori dell’agrume esclusivo di questi luoghi. Il bergamotto è utilizzato come base per liquori, bibite, dolci e largamente impiegato nell’industria profumiera per fissare il bouquet aromatico dei profumi e nell’industria farmaceutica per il suo potere antisettico e antibatterico.
La vita in Aspromonte è piena come la natura, selvaggia e bruna, fatta di fiumare, di pietre e spine. “Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque. I pastori stanno nelle case costruite di frasche e di fango, e dormono con gli animali. Vanno in giro coi lunghi cappucci attaccati ad una mantelletta triangolare che protegge le spalle, come si vede talvolta raffigurato qualche dio greco pellegrino e invernale. I torrenti hanno una voce assordante”.
Un paesaggio tanto caro all’autore Corrado Alvaro, una tra le più alte espressioni della letteratura meridionalistica, dalla sua penna oltre alla natura prendono vita personaggi umili e animati da passioni forti, figli di una Calabria immobile e fuori dal tempo.
In “Gente in Aspromonte”, attraverso tredici racconti emerge la realtà povera e dolorosa di un mondo chiuso e raccolto nei confini di piccoli paesi.
Nel paesaggio molto critico del territorio reggino si contano tanti insediamenti rurali ormai abbandonati, gente cacciata via dall’impeto delle acque dell’Amendola, impetuose nella loro corsa verso lo Jonio, nello scorrere di eventi e realtà che hanno allontanato la gente dalle case di Roghudi, strozzate in effimeri spazi concessi dalla fiumara.
L’Amendolea era navigabile fin presso l’insediamento omonimo, infatti greci e romani risalirono la fiumara per colonizzare la montagna e per trasportare il legname di pino ricco di preziosa resina e il leccio per costruire le navi da guerra.
A distanza di secoli la gente continuava a penetrare la montagna più aspra della Calabria seguendo le fiumare e lungo una rete viaria lontana dalla costa, al riparo dalla minaccia musulmana che arrivava dal mare. Oggi il litorale si è riappropriato del suo spazio, ma la viabilità stradale e ferroviaria resta deficitaria.
Anche gli insediamenti rurali erano frutto di una logica dettata dalla paura nei confronti degli oppressori saraceni e dell’evolversi delle condizioni di vita delle comunità locali.
Prevaleva l’assetto tipico dei borghi arroccati, nascosti alla vista del mare, con le case appoggiate le une alle altre per rendere le stradine impenetrabili ai saracini saccheggiatori. Un esempio su tutti è Roghudi, raggiungibile da Bova dopo un percorso lungo e tortuoso, sorta in una posizione isolata e impenetrabile ai nemici ma vittima degli umori della fiumara, al punto da indurre gli abitanti a riparare altrove dopo la tragica alluvione del 1972.
Il paese così abbandonato è ostaggio dell’Amendolea che erode lentamente ma inesorabilmente la collina dove sorgono le case fantasma. La sensazione è di ritrovarsi catapultati in un mondo diverso, lontano, irreale.
Qui i bambini con una corda avvolta attorno alla caviglia venivano assicurati a grossi chiodi sulle pareti delle case per impedire a loro, magari distratti dal gioco, di precipitare nel dirupo sottostante. Per ora Roghudi continua a resistere alle ingiurie del tempo e alle spallate dell’Amendolea, insieme alla vicina Ghorio di Roccaforte evacuata a seguito dell’alluvione del 1971. Dal vecchio centro di origine grecanica è emozionante osservare la fiumara che compare e scompare nel suo andamento tortuoso tra i monti verso il mare. A poca distanza da questa perla dell’area ellenofona Calabra si possono ammirare due monumenti geologici naturali plasmati dal vento e dalla pioggia: le caldaie del latte (Ta vrastarùcia) e la Rocca del Drago (I Ròcca tu Dràgu).
Il viaggio lungo l’Amendolea mostra come la storia degli insediamenti montani si assomiglia tutta e così pure il destino della loro gente: il villaggio “fantasma” di Amendolea, in posizione panoramica, pesantemente danneggiato dai terremoti del 1783 e del 1908, subì il colpo di grazia con l’alluvione del 1956. Anche qui come a Roghudi la collina instabile degrada verso la fiumara. Ma uno degli sfaldamenti più pericolosi e quello di Colella, costituito dai detriti e dai massi di formazione metamorfica del Paleozoico che ingombrano l’ampio alveo dell’Amendolea, formando una delle frane attive più grandi dell’intero continente.
Essa si trova nel comune di Roccaforte del Greco, a pochi chilometri da Roghudi, e appare come un’intera montagna che scivola inesorabilmente a valle. Identità quasi perdute e frammenti di vita rurale si possono scoprire anche a Gallicianò, ooasi della grecità calabrese, probabilmente fondata dagli amendolesi perché luogo più sicuro e senza strada, quindi difficilmente accessibile in tempi dove la vita era appesa a un filo. I gallicianesi sono molto legati alle loro tradizioni ortodosse e ancora oggi gli anziani parlano la lingua grecanica e conservano la propria identità culturale ed etnica grazie all’associazione ellenofona “I Cumelca”.
Gallicianò: dove l’Aspromonte è ancora Magna Grecia
Il letto vasto delle fiumare fa scivolare l’acqua lentamente verso il mare, ma durante la stagione piovosa dai ripidi pendii del territorio aspro montano originano torrenti impetuosi che mostrano grandi capacità erosive, asportando terreno e caricando il letto delle fiumare che scorre con impressionante violenza verso il mare. Nella stagione estiva, invece, le fiumare si presentano come una sconfinata distesa bianca di pietre e gli alvei possono raggiungere anche un chilometro di ampiezza. Ma l’Amendolea sa essere anche generosa quando è prossima alla sorgente: le sue acque chiare e fresche offrono tante possibilità per camminare, tuffarsi nelle acque, calarsi con le corde nei vorticosi ruscelli che scendono dalle ripide pendici del Montalto, scavando forre strette e incassate che regalano spericolate discese di canyoning; uno sport che può dare grandi soddisfazioni se vissuto con la giusta preparazione tecnico-pratica.
Aspromonte: le cascate Maesano
Aspromonte: da Bova a Roghudi
Aspromonte: dal Casello Forestale di San Giorgio a Pietra Cappa
Aspromonte: canyoning lungo il torrente Furria
Per escursioni guidate e canyoning contattare Demi d’Arrigo di Aspromonte Wild
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