LANGHE: viaggio in CARROZZA sui tracciati dei cartunè

19 marzo 2020 - 13:41

Un viaggio per ritrovare la storia, la cultura, il gusto e le tradizioni di uno dei territori italiani più battuti dal turismo enogastronomico internazionale: le Langhe.

Unviaggio lento, attraverso percorsi antichi, sulle orme dei commercianti di sale e dei contrabbandieri che nei secoli passati ne battevano i sentieri: in carrozza e a dorso di mulo.

Nei secoli passati, le Langhe erano percorse da importanti vie di comunicazione tra i porti della Liguria e la pianura piemontese. La merce più preziosa che attraversava le sue strade era il sale, sul quale i signori locali imponevano forti tasse. Così, al commercio legale del giorno si affiancava spesso quello notturno e clandestino: il contrabbando.

Erano, infatti, numerosi gli “sfrosadori”, i contrabbandieri, che percorrevano sentieri nascosti tra i boschi, come altrettanto numerosi erano gli episodi di lotte con i doganieri, spesso così aspre da sconfinare in autentiche guerre tra eserciti contrapposti.

I percorsi seguivano prevalentemente le creste delle colline, evitando il più possibile di transitare a ridosso dei corsi d’acqua, ritenuti poco sicuri.

Si trattava di sentieri tortuosi, utilizzabili a piedi o con bestie da soma, che richiedevano poca o nessuna manutenzione. Solo con la dominazione francese, dopo l’800, si sentirà il bisogno di tracciare nuove strade, dette “carrettabili”, più larghe e percorribili con carri trainati da cavalli.

L’innovazione segnerà la scomparsa dei muli, degli asini e di molti vecchi sentieri. Darà inizio però all’epoca, breve ma intensa, dei “cartunè”, i carrettieri, e di tutto un mondo legato a questo modo di viaggiare: osterie, fontanili, stazioni di accoglienza e ristoro per cavalli e uomini, località che diventavano crocevia delle nuove vie di transito.

Con l’avvento dell’asfalto e con la moderna scoperta turistica delle Langhe, ai carretti si sono sostituite le carovane di “enoturisti” e “gastronauti”. Ma le tracce delle antiche vie, delle vecchie osterie, del mondo che ruotava intorno alle carovane di “cartun” esistono ancora, anche se appaiono a malapena tra gli intonaci delle nuove abitazioni.

Non possono però sfuggire all’occhio attento del carrettiere, abituato dalla lentezza del suo incedere a notare ogni particolare che lo circonda. Anche noi abbiamo avuto la fortuna di ripetere l’esperienza di un viaggio attraverso l’Alta Langa in carrozza e a dorso di mulo, al seguito di appassionati che ripercorrono le antiche strade alla maniera e con i mezzi di trasporto dei vecchi “cartunè”.

Una delle carrozze attraversa i vigneti dell’Alta langa.

Non è un viaggio facile, dal punto di vista logistico. Occorre scegliere con attenzione le strade dove passare e i punti in cui fare sosta, è necessario badare alle esigenze ed ai tempi degli animali che ci accompagnano, bisogna approntare dei mezzi di appoggio. È anche un viaggio, però, che non si dimentica facilmente.

Con i suoi ritmi lenti, cullati dallo scalpiccio degli zoccoli sul terreno – che somiglia stranamente allo sciabordio delle onde del mare – ci permette di gustare a pieno il paesaggio, gli odori, i colori di questa terra. E, soprattutto, di pensare, e di vivere la strada, le soste, la meta, le tante suggestioni, da un diverso punto di vista. Dove non contano più l’arrivare, il dove e il quando, ma solo, finalmente, il qui e l’ora.

Per organizzare viaggi in carrozza o con i muli si può contattare l’Associazione I Cartuné (c/o Azienda Agrituristica Casa Scaparone – Loc. Scaparone, 8 – 12051 Alba (CN) tel.335 8321572 / 338 8487075 www.icartune.it

L’Itinerario turistico

 

→ Primo giorno

È la classica Langa, quella dei vigneti di Barolo e Barbaresco, quella che attira frotte di turisti in cerca di attrattive enologiche, quella che circonda Verduno, punto iniziale del nostro itinerario.

Il castello, ricco di storia, vale una visita anche per le sue cantine (Real Castello di Verduno – via Umberto I, 9 12060 Verduno – tel. 0172.470125 –  www.castellodiverduno.com, infocastellodiverduno.com). Qui si coltiva un tipo di vitigno particolarissimo: il Pelaverga Piccolo. Antichissimo, dalle origini perse nella leggenda e per molti anni dimenticato ha trovato qui i suoi spazi più adatti (è Doc dal 1995).

Il Castello di Verduno, costruito nel 1500, ebbe vari proprietari fino al 1838, quando re Carlo Alberto lo comprò affidando la gestione al Generale Carlo Staglieno, famoso enologo. Egli sperimentò qui le prime coltivazioni del Nebiolo secondo le teorie di Giulia Falletti Colbert, gettando le basi del moderno Barolo.

Nel castello soggiornò a lungo anche Oddone, figlio di Vittorio Emanuele II, che, di salute cagionevole ma ottimo naturalista, studiò e catalogò i reperti fossili trovati nelle vicinanze. Nei primi del ‘900, la famiglia Burlotto acquistò il castello, adibendolo ad albergo. In seguito, riattivò le cantine e incrementò la produzione di Barolo e Verduno, ancora oggi tra i maggiori prodotti del castello.

Da Verduno dobbiamo però spostarci verso la zona della Langa più alta, ai confini con la Liguria, dove inizieremo il nostro viaggio e dove ci aspettano gli amici che ci accompagneranno.

→ Secondo giorno

A Saliceto incontriamo quindi un folto gruppo di “Cartunè” con le loro carrozze, i cavalli e i muli (che suscitano la divertita curiosità degli abitanti). Il paese contiene alcune tra le maggiori testimonianze artistiche di queste valli, come la parrocchiale di San Lorenzo, la chiesa di San Martino a Lignea e il castello.

Percorriamo la vecchia Via del Sale, proseguimento di quella ligure, ora risistemata, segnalata e attrezzata. Nei progetti, sarà un nuovo lungo percorso per viaggiare “adagio”, a piedi, a cavallo o in carrozza, e un veicolo di rilancio di questa parte di Langhe, a torto rimasta fuori dalle grandi rotte turistiche rispetto ad altre ben più note.

Il viaggio prosegue fino a Gottasecca, sullo spartiacque tra le valli Uzzone e Bormida. Il suo santuario, isolato tra i boschi, rifacimento seicentesco di un’antica pieve già citata nel 998, è riccamente decorato al suo interno da stucchi e affreschi.

Nelle vicinanze Monesiglio, antica sede di mulini e filande, è contraddistinta dalla sagoma del castello cui tutte le stradine del centro conducono. Ma il monumento di maggior interesse è senz’altro la cappella di Sant’Andrea, del 1532, interamente ricoperta di affreschi. Tra le altre prelibatezze di Monesiglio, da consigliare i formaggi.

Ph Enrico Bottino

La robiola (in dialetto “tuma”) è il formaggio più tipico delle colline delle valli Bormida, Belbo e Uzzone, che può essere consumato fresco o stagionato. Il formaggio è prodotto tramite in disciplinare Dop “Murazzano”, che prevede latte in maggioranza ovino e in parte minore bovino.

Molte produzioni sono influenzate dalla vicina zona della Langa Astigiana, dove si produce la rinomata Robiola di Roccaverano, a base di latte di capra. Molti produttori fanno invece “maturare” i loro formaggi nelle foglie di alberi (castagno e vite), ortaggi (cavolo) o con erbe aromatiche, dando luogo a prodotti dal gusto e dal profumo particolarissimi.

La ditta Cora, pluripremiata in rassegne internazionali, si è specializzata nel trarre aromi e gusti particolarissimi, ottenuti mettendo i formaggi a macerare con foglie di cavolo, di ciliegio, o di fico.

→ Terzo giorno

La tappa successiva è Prunetto. Un tempo costruito su una collina, fu distrutto da una frana e ricostruito più in basso. La frana, però, ha risparmiato il castello appartenuto ai Del Carretto, distrutto durante la guerra e in abbandono fino a recenti restauri. Al suo fianco, il Santuario dedicato alla Madonna del Carmine, con notevoli affreschi all’interno.

Più avanti, incontriamo Bergolo, paese minuscolo ma ben conosciuto per i festival di musica che vi si tengono a maggio, per i suoi murales e per la chiesetta di San Sebastiano, in stile romanico.

Si scende poi su Cortemilia, borgo famoso per la coltivazione della nocciola “Tonda Gentile delle Langhe”, Igp dal 1993. Nelle Langhe si contano circa 3.000 ettari di noccioleto. Un tempo la coltivazione era portata avanti per autoconsumo, in piccoli appezzamenti, ma si deve alle moderne tecniche di raccolta meccanizzata l’aumento degli investimenti in questo settore.

Tra Cortemilia e S. Stefano Belbo hanno sede le maggiori industrie dolciarie. Ma la nocciola è utilizzata per i dolci tipici da tanti artigiani locali, che producono torte, torrone, “brutti e buoni”, “baci di dama”. Per valorizzare la produzione, è stato creato un Consorzio per la Tutela della Torta di Nocciole Cortemilia.

Cortemilia è famosa anche per i suoi prodotti dolciari: le torte, i gelati, i “Baci di Dama”, i “Brutti e Buoni” hanno qui la loro capitale. Ma oltre alle pasticcerie, meritano anche una visita i vicoli del centro storico, il ponte e la chiesa della Madonna della Pieve. Il paesaggio circostante, inoltre, è caratterizzato dai terrazzamenti in pietra arenaria.

La zona successiva è il regno del Moscato d’Asti, prodotto nelle due versioni spumante e tappo raso, come testimoniano i vigneti. Ma siamo anche in luoghi di grande suggestione letteraria: qui, tra Castino e Santo Stefano Belbo, Beppe Fenoglio e Cesare Pavese ambientavano le loro vicende

Quindi, tra le valli Bembo e Bormida, si incontrano i destini e le opere di tre importanti personaggi della letteratura italiana del ‘900. Si tratta di Augusto Monti e, appunto, di Beppe Fenoglio e Cesare Pavese.

Augusto Monti, nato a Monastero Bormida nel 1881 e morto a Roma nel 1966, fu insegnante, scrittore, membro del Partito di Azione e protagonista della Resistenza. Narrò delle sua terra soprattutto ne “I Sanssossi”.

Beppe Fenoglio, nato ad Alba nel 1922 trascorse nelle Langhe quasi tutta la sua vita, conclusa nel 1963. Tutti i suoi romanzi più famosi sono ambientati in questi luoghi. Cesare Pavese nacque a S. Stefano Belbo nel 1908 e studiò a Torino, allievo di Augusto Monti e presto amico di tanti intellettuali. Le Langhe sono protagoniste soprattutto di “La Luna e i falò”. Morirà suicida nel 1950.

Poco lontano da Castino, la Cascina del Pavaglione, scenario di “La Malora”, è ora un centro culturale dedicato a Fenoglio, mentre a Santo Stefano Belbo ogni casa e ogni strada rimandano a scritti di Pavese. Qui hanno sede, tra l’altro, il Museo Pavesiano e il centro studi a lui dedicato.

Il nostro viaggio è terminato, bellissimo, giustamente riconosciuto dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità per i Paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato. Ricordiamo a tutti voi che una fitta rete di sentieri consente di visitare questo angolo d’Italia immergendosi nel paesaggio e toccando i piccoli borghi e paesi che custodiscono storia centenaria e segreti enogastronomici invidiati in tutto il mondo.

Il sentiero Nas-Cetta di Novello

In cammino nelle Langhe fra le colline di Diano d’Alba

 

Testo e foto di Aldo Frezza