Orme sulla neve: il detective della natura

18 marzo 2020 - 10:50

Nell’immagine sopra: “Lupo e civetta capogrosso” in una splendida tavola di Valentino Camiletti (tratto dal libro “Il fantastico mondo dei gufi” di Marco Mastrorilli, editore La Rondine) 

La neve: un’alleata preziosa per il trekker

L’avvistamento di animali selvatici è sempre difficile, ma la neve modifica le regole, trasforma il suolo in un libro aperto dove leggere le orme degli abitanti dei boschi e delle vette alpine, testimoniando, seppure indirettamente, la presenza di esemplari rari, fuggevoli, in perenne lotta per la sopravvivenza nei freddi mesi invernali.

La neve è la migliore alleata dell’escursionista che vuole improvvisarsi detective della natura, visto che il manto nevoso, quando ha la giusta consistenza, testimonia il passaggio di animali normalmente elusivi, difficili da incontrare soprattutto nella bella stagione quando restano nascosti dai loro predatori e dagli occhi indiscreti di escursionisti curiosi e talvolta chiassosi.


Nei mesi invernali è diverso: quando regna il silenzio ovattato dalla neve anche gli animali più schivi, affamati e in cerca di cibo diventano meno diffidenti, e seppure sia difficile osservarli, il terreno innevato rivela inconsapevolmente la loro presenza.

Lo sanno i predatori che oltre ad affidarsi all’olfatto seguono le orme delle loro prede, lo sa il detective della natura che ne segue le piste sulla neve per carpirne la presenza, le abitudini, rilevare il numero di esemplari presenti sul territorio, sempre nella velata speranza di vederli spuntare tra le fronde della boscaglia, dietro una roccia o avvistare la loro figura sul crinale del monte.

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L’indagine

Il momento migliore per condurre la propria “ricerca” è dopo una nevicata notturna, quando la mattina volge al bello promettendo una giornata di sole.

Lo “Sherlock Holmes della natura” calza le ciaspole per attraversare i campi dietro casa; ancora prima d’infilarsi nella boscaglia, presso le rive del ruscello s’imbatte subito sulle tracce di un piccolo topo selvatico.

I segni delle piccole zampette sono appaiate ai “baffi” della coda: probabilmente ha approfittato dei primi raggi mattutini per scaldarsi e riaversi dalla notte gelata.

Del piccolo roditore non c’è traccia, anzi, lì vicino il trekker vede una successione di singole impronte: le ha lasciate la volpe, e lo può affermare con certezza grazie alla caratteristica andatura dell’animale che lo porta a poggiare la zampa posteriore sull’orma anteriore, lasciando così una traccia più o meno rettilinea.

Attraversato il pianoro, il detective si avventura ora nella faggeta avvolta dall’atmosfera silente dell’inverno.

Il gioco è sempre uguale, ma appassionante: seguire le impronte, esaminarne forma e dimensione, interpretarle, dare un nome all’animale che le ha prodotte.

Naturalmente, bisogna infilare nello zaino l’attrezzatura solita più un taccuino per appunti, un manuale, uno strumento di misurazione, l’essenziale per rivelare le orme.

Quella che al meno esperto può apparire solo una lunga serie di buchi nella neve, in realtà per il nostro perseverante e meticoloso detective della natura è una pista e diventa la “prova” per capire chi frequenta la zona, le sue abitudini, i suoi segreti.

Una semplice gita fuori porta può così trasformarsi in una divertente avventura.

Però non tutta la neve è una buona alleata per il nostro detective: perché le tracce siano nitide ed evidente è importante che il manto nevoso non sia troppo alto, umido, non deve aver subito forti processi di trasformazione e fusione dei cristalli, nemmeno deve essere troppo soffice, farinosa, gelata.

La dimensione e la forma sono prove inconfutabili per il nostro detective, quindi l’indagine può essere falsata se la neve deformata dal vento e scaldata dal sole si scioglie: le orme si dilatano, si deformano notevolmente, e anche un esperto ricercatore può cadere in inganno, confondendo la traccia lasciata da un capriolo con quella di un cervo, oppure quella della volpe con quella impressa dal lupo.

La consistenza della neve è importante anche perché può rispecchiare fedelmente l’andatura dell’animale: alcuni mammiferi posano tutta la pianta del piede – come l’orso o il tasso e per questo “schedati” come plantigradi – altri, i digitigradi, appoggiano solo le dita e i cuscinetti plantari (la volpe ad esempio).

Gli unguligradi invece imprimono sulla neve solo alcune dita dello zoccolo e la traccia dello sperone accerta l’impronta del cinghiale.

Naturalmente interviene in aiuto del nostro detective anche il luogo dove viene svolta l’”investigazione”: dal bosco alla prateria d’alta quota, dalla campagna ai climi più rigidi dell’Appennino e delle Alpi, si hanno condizioni naturali diversi, che meglio rispondono alle esigenze degli animali. Ciaspolata sotto le cime dolomitiche

 

Attrezzi del mestiere

Le ciaspole consentono di muoversi in paesaggi intatti, di riappropriarsi di ambienti selvaggi e valli incontaminate, di entrare in piena sintonia con la natura. Le ciaspole permettono di percorrere lunghe distanze con poco dispendio di energia, calpestando la neve, la migliore alleata per la scoperta delle tracce lasciate dagli animali.

Grazie a una passeggiata tra la vegetazione irrigidita dal freddo, si possono individuare le orme “saltellanti” delle lepri, quelle del simpatico folletto del bosco, lo scoiattolo, intuire il passaggio dei lupi grazie alle tracce rettilinee lasciate dal branco.

Oppure scoprire la tana nascosta tra i massi dell’ermellino o della faina, tradite dalle orme lasciate a due a due sulla neve. Un andirivieni di segni sul terreno avverte la vicina presenza del rifugio dell’arvicola, succulenta preda dell’ormai rarissimo gatto selvatico, che come la lince lascia orme tondeggianti facilmente riconoscibili.

Non di rado, nel bosco s’incontrano fatte, urina e particolari secrezioni attraverso le quali gli animali comunicano ai loro simili messaggi precisi, del tipo “questa è casa mia!”.

Il detective calca il sentiero, segue la pista della martora finché la traccia s’interrompe all’improvviso: probabilmente l’animale si è arrampicato sul vicino albero. Sempre nel bosco di latifoglie è possibile trovare le orme degli zoccoli dei caprioli e, simili ma più grandi, dei cervi.

A quote maggiori il muflone si prende gioco di tutti visto che i suoi zoccoli robusti ed elastici conferiscono presa sicura su qualsiasi tipo di superficie, anche quelle più inaccessibili.

 

E il camoscio?

D’estate, lui timoroso fugge tra i detriti e gli sfasciumi che si depositano sotto ad impressionanti pareti, mentre in inverno scende di quota, tanto da poterne scoprire le orme, meno larghe e più appuntite rispetto a quelle del muflone.

Ma il vero signore delle vette è lui, lo stambecco, superbo nel suo portamento, anche quando d’inverno abbandona le vette per scendere sotto i 2000 metri di altezza.

La storia di questo ungulato si è intrecciata da sempre con quella dell’uomo: inizialmente cacciato per la carne e per le presunte proprietà terapeutiche delle sue corna, lo stambecco rischiò l’estinzione già nel XVI secolo.

La riscossa dello stambecco inizia nel 1856 con le prime norme di tutela emanate dai sovrani di casa Savoia, e nel 1922 grazie all’istituzione del Parco Nazionale del Gran Paradiso.

Lo stambecco finalmente sta tornando, soprattutto per effetto di reintroduzioni, ad occupare parte del suo antico areale alpino.

Una emozione incredibile, e magari anche un po’ di timore, si può provare nel Parco naturale Adamello Brenta, quando ci si imbatte nei cinque unghioni dell’orso, talvolta confusi – se si tratta di cuccioli – con le impronte lasciate dal tasso, più piccole e slanciate (i polpastrelli, in particolare, presentano una lunghezza circa doppia rispetto alla larghezza).

La storia del maestoso e affascinante orso bruno (Ursus arctos L.), animale simbolo della maggior area protetta del Trentino, si intreccia a quella dell’uomo: per secoli perseguitato e sull’orlo dell’estinzione, oggi il numero di esemplari del plantigrado si è incrementato grazie ad un progetto di reintroduzione, Life Ursus, avviato nel 1996 dal Parco naturale Adamello Brenta.

Gli escursionisti più titubanti sappiano che l’orso solitamente dai primi di dicembre a fine marzo si ritira in letargo quindi possono passeggiare sotto gli alberi innevati senza paura d’incontrarlo.

Sicuramente il nostro detective della natura non approverebbe certi timori.

Nella stagione avversa anche la simpatica marmotta, che avverte della presenza dei nemici (e tra quelli ci siamo anche noi, rassegnatevi) con il suo singolare fischio, entra in letargo, al sicuro dai predatori nella sua lunga galleria scavata con le forti unghie.

D’inverno anche lo scoiattolo ama dormire, ma interrompe il sonno ogni qualvolta la temperatura gli permette di uscire, scaldarsi al sole, curiosare in giro.

Quando succede, il simpatico folletto del bosco lascia traccia dei suoi salti, con le cinque dita posteriori allargate che toccano terra appena davanti alle quattro anteriori posate una vicino all’altra.

A caccia con i Parchi

Una tranquilla passeggiata sulla neve consente osservazioni di grande interesse, ed emozioni profonde nel momento che si avvista un animale o, semplicemente, se ne avverte la presenza.

Anche per questo i Parchi organizzano escursioni rivolte soprattutto ai ragazzi, per insegnare a loro come riconoscere le tracce sulla neve, avvicinarli sempre più alla natura anche nei periodi in cui questa sembra dormire, venendo a conoscenza della presenza di animali che quasi è impossibile supporre l’esistenza tanto sono fuggevoli alla vista degli escursionisti.

 

 

I Centri di Educazione Ambientale dei Parchi dispongono di attrezzatura scientifica e tecnica adeguata per lo svolgimento di attività di osservazione naturalistica sul campo e appoggiandosi a operatori qualificati in ambito naturalistico sviluppano programmi didattici che prevedono due momenti: il primo in aula, dove si proiettano immagini di orme con lo scopo di collegarle agli animali che le hanno lasciate.

La seconda fase, la più divertente, prevede la lezione vera e propria sul campo, immersi nella natura, per cercare le tracce, imparare a riconoscerle, dare una identità agli animali che le hanno lasciate.

Per i ragazzi l’individuazione delle impronte alla fine risulta essere un gioco, per gli adulti, in particolare del corpo forestale e ricercatori, rappresenta invece un indice importante sulla presenza di determinati esemplari in zona – in particolare per i carnivori, come l’orso o il lupo – sul numero d’individui, una volta che si trova in conforto di ulteriori rilievi e altri indici di presenza – segni lasciati sulle cortecce, peli sui rami, carcasse di animali predati, giacigli, materia fecale – che meglio completano e definiscono le stime fatte.

 

Gli itinerari sulla neve

Sella, Sassolungo e il Parco Puez Odle: tra le bianche dolomiti dei ladini, tra natura, cultura e tradizioni Uno scenario unico, con montagne di incomparabile bellezza: bianche distese di neve, dalle quali spiccano agili vette dolomitiche di incomparabile bellezza ed eleganza da rendere la Val Gardena celeberrima in tutto il mondo.

Sulla neve della Val gardena

 

Potendola osservare dall’alto, la regione delle Prealpi Bellunesi e Trevigiane assomiglia a un’infinita tavola imbandita. Dai monti dell’Alpago, passando per le dolci colline del Feltrino, fino agli ampi panorami della Vallebelluna, nei dintorni di Belluno.

Prealpi Bellunesi

 

Lo Sciliar che incombe con le sue leggende di streghe e tempeste sull’abitato di Fiè, la linea perfetta del Sassopiatto e l’imponente muraglia del Sassolungo che paiono emergere dalle onde candide dell’altipiano, punteggiato di caratteristiche baite e fienili di larice annerito dal tempo.

Itinerari all’Alpe di Siusi

 

Testo Enrico Bottino – Foto di Enrico Bottino, Michele Dalla Palma, archivio Parco Nazionale Gran Paradiso, Parco naturale Adamello Brenta, Parco Alpi Marittime, Parco Valle Pesio

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