Non conoscono le automobili e la frenesia del traffico, ma sono riusciti a stabilire un equilibrio perfetto tra il contesto paesaggistico che li ospita e i loro abitanti. Qui le strade non arrivano e noi ci incamminiamo a piedi…
L’atmosfera di un piccolo paese antico, dalle case di pietra e di legno, regala sempre un’emozione particolare: anche se già previsto dall’itinerario, l’arrivo a piedi tra le mura consumate dal tempo, suscita sorpresa e soddisfazione, quella sensazione unica di trovarsi al cospetto di un luogo dall’identità fortemente radicata, pervaso dalla memoria viva di un passato ancora presente.
Nella nostra Penisola si contano oltre seimila borghi abbandonati, come tanti fantasmi che si nascondono nell’erba alta.
La massiccia urbanizzazione degli anni Sessanta ha letteralmente strappato alle aree rurali di campagna e alle valli alpine gli abitanti di una miriade di centri minuscoli.
Quando anche l’ultima luce rimasta accesa ha lasciato spazio al buio, quando tutti sono partiti lasciando le chiavi ad arrugginire negli usci, i paesi rimangono immobili, come gusci svuotati, come una vecchia pelle lasciata a terra dopo la muta di un rettile.
Chi attraversa a piedi un paese abbandonato, non può rimanere indifferente all’atmosfera che incanta, che distrae da tutto il resto, e anche se il sentiero prosegue i passi rallentano, spinti dall’esigenza di una sosta per respirare la polvere di quei muri e ritrovare un frammento del nostro passato.
Case aggrappate l’una all’altra, ragnatele di travi e tetti, fontane di pietra e vecchi recinti avvolti in danze di ortiche, vetri rotti alle finestre dove si affaccia una luna curiosa. Sembra che una porzione di tempo sia rimasta intrappolata tra le mura, eternamente in sospeso, come se qui nessuno avesse mai abitato e come se nessuno fosse mai realmente andato via.
I paesi che per primi e con maggiore certezza rimasero orfani dei loro abitanti mancavano di un elemento considerato fondamentale per lo sviluppo e la sopravvivenza di un piccolo centro, erano paesi senza strade.
Dove manca una strada l’intera idea di “movimento” appare completamente asincrona, qualcosa che avviene fuori tempo, o almeno fuori dal nostro concetto attuale del tempo.
Le strade, lungo cui cose e persone arrivano o partono, rappresentano la connessione con il resto del mondo, dal borgo più vicino, all’intera vallata fino alla grande metropoli.
Come arterie consentono lo scorrere della vita, gli scambi tra i punti nevralgici: dapprima piccole e sconosciute incontrano altre strade, srotolando il loro asfalto tra i fianchi delle montagne o lungo aree rurali remote per riversarlo in strade sempre più grandi, pronte ad accogliere flussi in costante movimento.
Quando la strada è interrotta tutto si ferma, e laddove non esistono vie alternative, c’è sempre un luogo che rimane isolato, tagliato fuori dalla relazione con gli altri luoghi presenti su quel territorio.
Ritroviamo l’importanza della rete viaria nella stessa segnaletica stradale, dove la presenza dei luoghi sembra in qualche modo dipendere dalla loro presenza sulla cartellonistica: un centro abito inizia ad esistere quando compare il suo nome accompagnato dalla freccia direzionale e dal numero di chilometri che mancano per raggiungerlo.
Una strada che finisce riesce persino a delegittimare tutto ciò che viene dopo, come se non ci fossero più luoghi da raggiungere o come se nessun luogo, privato di una strada, meritasse di essere raggiunto.
Come si è visto, il numero di piccoli centri ormai abbandonati è incredibilmente elevato, ma il contesto rurale della nostra Penisola mostra anche una realtà differente, lontana dalla consuetudine. Ci sono paesi che non hanno strade e forse non ne avranno mai.
Ma sono paesi abitati. Borghi in cui, a tutti gli effetti, si vive costantemente o per buona parte dell’anno e la mancanza di una rete viaria percorribile in auto non sembra poi un problema così insormontabile.
Nel futuro più prossimo, dove il patrimonio rurale rischia di scomparire lasciando di se un’immagine artefatta, imprigionata negli outlet goffamente mascherati da borghi antichi, questi centri vivi, reali, rappresentano una grande speranza. Sono luoghi unici, dove si avvera l’impensabile, come camminare tra vie e piccole piazze senza incontrare veicoli a motore.
Niente sagome di auto che dormono al sole, niente clacson né bestioni rombanti fermi al semaforo.
Qui l’area urbana è totalmente ripensata: il cuore del piccolo centro, libero dalla gabbia dei parcheggi e della segnaletica dipinta a terra, si riappropria degli spazi comuni e ritrova suoni nascosti, normalmente relegati sullo sfondo dalla spessa coperta rumorosa cui siamo assuefatti.
Paesi che sposano appieno la cultura del camminare propria di chi arriva piano e riparte senza fretta, sottraendo importanza al concetto di velocità e restituendo valore alla conoscenza non superficiale dei luoghi, agli incontri, alla gioia di essere arrivati a piedi, un passo dopo l’altro.
Ai nostri lettori proponiamo tre interessanti realtà italiane per vivere, attraverso le escursioni, il fascino dei borghi senza strade. Incastonato nella Val Veddasca, tra le montagne che sovrastano Luino e il Lago Maggiore, Monteviasco non conosce ancora il cemento e il motore a scoppio.
Nessuna strada collega il piccolo borgo al “resto del mondo”.
Solo un tracciato di circa 1400 gradini e una funivia di recente costruzione consentono ai pochi abitanti stabili, innamorati del loro paese, di raggiungere l’oasi di pace che hanno scelto per vivere. Codera, nell’omonima valle lombarda, è una piccola contrada di montagna ancora abitata, dove arriva esclusivamente una mulattiera e una teleferica per i materiali.
Per giungere alle case in pietra, tra le imponenti pareti di granito che dominano la vallata, si percorre una successione di gradoni altamente panoramici scavanti nella roccia.
Ai piedi del Cervino, Chamois accoglie i suoi cento abitanti che qui arrivano grazie all’incredibile salto della funivia.
Vero e proprio paradiso di pace e tranquillità, immerso nel verde tra cappelle alpine e casette rurali dalla tipica architettura valdostana, appartiene al circuito “Alpine Pearls”, le località montane che garantiscono vacanze ecosostenibili.
> L’incanto di Chamois
> Codera, nido tra i monti
> Monteviasco, borgo intatto