Una porta aperta sul passato: i butteri e la Maremma

19 marzo 2020 - 15:32

La razza maremmana e i butteri, due realtà legate da un unico cordone ombelicale, rappresentano una porta aperta sul passato che rischia di chiudersi inesorabilmente, per sempre, di fronte ad una moderna zootecnia di profitto.

Ricca di risorse naturali e appena sfiorata dalla presenza del progresso, la Maremma vanta una attività umana tradizionale, quella del mandriano, ormai entrata nel Dna del territorio ma minacciata di estinzione, al pari della razza maremmana. Quest’ultima vive su quella striscia di terra piana che dal fiume Cecina arriva fino a Roma e Latina: un paesaggio agrario dove la più grande opera è la natura. Qui il destino del cavallo maremmano e della vacca dalle grandi corna a lira è legato a quello dei butteri, uomini che amano ciò che hanno scelto di fare; figura mitica ormai spazzata via dall’incalzare del progresso, delle macchine, del consumismo.

Tuttavia, ancora oggi nell’immaginario collettivo sono loro, i mandriani a cavallo, a simboleggiare nel mondo la Maremma, area geografica dove i grandi spazi aperti, impervi e paludosi, disegnavano la loro sfera d’azione. Ormai quest’antico mestiere, seppure meno duro di un tempo, sopravvive in pochissime aziende e solo grazie ad alcune associazioni culturali mantiene viva la memoria e le sue tradizioni.

Realtà a confronto

La rusticità della maremmana consente di contenere le spese di allevamento, oltre alle caratteristiche organolettiche delle carni, stanno stimolando diversi allevatori e agricoltori ad impiantare piccoli nuclei di Maremmane nelle loro aziende con il risultato di rendere il paesaggio ancor più interessante e in armonia con le sue origini.

Dure equazioni economiche hanno stravolto gli equilibri ambientali ed umani stabiliti da secoli: il buttero fino a non molto tempo fa era una figura insostituibile in Maremma, rappresentando, insieme alla razza maremmana, uno spaccato della cultura locale che purtroppo va estinguendosi. Il suo ridimensionamento, in seno all’economia rurale, è derivato in massima parte dalle mutate condizioni agro-zootecniche, che implicano la massiccia introduzione della meccanizzazione e della messa a coltura di vaste aree incolte, dove la vacca e il cavallo maremmano trovavano un ideale habitat.

Erano aree pianeggianti, malagevoli e svantaggiose, almeno fino a quando, alla fine Ottocento, questi luoghi ideali per l’allevamento allo stato brado furono bonificati. Un’azione che migliorò l’ambiente dal punto di vista agronomico ma che al tempo stesso mise in crisi l’allevamento tradizionale della Maremmana, tanto che oggi la razza è numericamente assai ridotta e a rischio di estinzione. Ad assestare un duro colpo all’allevamento tradizionale della mucca Maremmana ha contribuito anche il principio secondo il quale la sopravvivenza della razza è legato al successo dei prodotti che da essa ne derivano, sempre nella logica di massimizzare la produzione.

Purtroppo nel caso dei bovini da carne (meno per quelli da latte), sono state progressivamente messe in disparte diverse nostre razze autoctone, per lasciare spazio a vitelli di importazione, capaci di crescita e rese superiori. In realtà le razze da carne nazionali, a fronte di una capacità produttiva a volte inferiore, garantiscono un elevatissimo livello di qualità. E se la Piemontese, la Chianina, la Marchigiana e la Romagnola (alcune tra le nostre razze migliori), hanno il pregio di dare una carne molto magra e succulenta (caratteristica che peraltro viene esaltata dal modo in cui vengono allevati gli animali), la Maremmana ha carni sapide, più consistenti, sane, indiscutibilmente buone, ma forse meno apprezzate al consumatore moderno, quindi con una risposta di mercato inferiore rispetto alle altre carni italiane e internazionali.

Butteri e cow-boy

La giornata del mandriano inizia all’alba: in sella al suo cavallo, con una mano sulla briglia e l’altra ad impugnare “l’uncino” (bastone dalla forma particolare), governa il bestiame negli ampi e incontaminati spazi della Maremma. Una cartolina giunta dal passato che ormai appartiene all’immaginario collettivo. 

Il famoso spettacolo circense messo in piedi da Buffalo Bill, in tournée in Italia nel 1890, ebbe un epilogo disdicevole per coloro che vantavano essere i migliori domatori di cavalli selvaggi al mondo. I cow-boy americani evidentemente non conoscevano la tempra dei butteri toscani e, tanto meno, potevano immaginare quanto il cavallo maremmano, dal tipico mantello di colore baio o morello, fosse un animale fiero, robusto, coraggioso, agile, proprietà oggi indispensabili per imporsi sui bovini autoctoni che, con le loro lunghe corna ed il carattere ruvido e combattivo, non hanno timore reverenziale dell’uomo.

Quella partorita dal Conte Caetani di Sermonta fu un’idea davvero singolare: un duello tra mandriani texani e butteri maremmani, dove ogni gruppo doveva domare i cavalli selvaggi degli sfidanti. Alla fine però non ci furono ne vinti ne vincitori, dal momento che il personaggio, che secondo la leggenda nel giro di un anno e mezzo riuscì ad abbattere più di 4.000 bufali guadagnandosi così il famoso soprannome, scappò con il premio e l’incasso della giornata.

In ogni caso, da quel giorno i butteri maremmani si conquistarono la reputazione, legittima, di essere grandi domatori di cavalli selvaggi. Ed è grazie al fedele compagno di lavoro che i butteri governano al meglio le mandrie di bovini, seguendole nei loro spostamenti lungo gli ampi spazi della Maremma toscana e laziale. L’animale conserva così un comportamento selvatico, rimane autosufficiente sotto l’aspetto alimentare per gran parte dell’anno, addirittura le monte e i parti avvengono all’interno del gruppo di pascolo, negli spazi aperti, ed i vitelli vengono separati dalle madri solo all’età di sei/sette mesi. Un esempio di questo lavoro viene offerto durante gli spettacoli dell’Associazione Butteri d’Alta Maremma (info: www.butteri-altamaremma.com).

Maremmana, razza autoctona a rischio di estinzione

Le caratteristiche fisiche e morfologiche della maremmana rendono questa razza particolarmente adatta all’allevamento allo stato brado, con un minimo intervento di sorveglianza e di integrazione alimentare dell’uomo e solo in certi periodi dell’anno.

La razza bovina maremmana, il Bos Taurus Macrocerus (Uro dalle grandi corna), è originario della steppa asiatica. Certo, dai reperti archeologici rinvenuti a Cere e dalla testa taurina conservata nel museo di Vetulonia, è chiaro che la maremmana occupa gli attuali territori di allevamento, sin dai tempi degli etruschi. Questo tipo di bovino, rustico e frugale, ha potuto attecchire nelle zone (per secoli) paludose e disagevoli della Maremma, grazie alle sue qualità di resistenza alle malattie, alle difficoltà climatiche e al suo adattamento nei confronti di foraggio scadente. Da qui, e nel corso del tempo, i riproduttori della razza maremmana sono stati esportati in diversi paesi e, eliminati i dubbi sorti durante la bonifica del litorale toscano, l’allevamento di questo splendido esemplare bovino ebbe un notevole impulso, proprio durante il periodo tra le due guerre.

La bellezza e l’imponenza proprie di questi animali in libertà è uno spettacolo del quale hanno diritto di godere anche le generazioni future.

Dopo una parentesi tormentata, condizionata anche dalla riforma agraria, la Maremmana è tornata ad affermare il proprio diritto alla sopravvivenza, anche in zone che in passato le erano state precluse. Le caratteristiche morfologiche, sono quelle di avere un mantello grigio, decisamente più scuro nei maschi. La particolarità più evidente è però quella delle corna, lunghe fino a un metro, che si presentano a semiluna nei maschi e a lira nelle femmine. L’animale possiede uno sviluppo scheletrico imponente che gli dona un aspetto robusto e maestoso, accentuato dall’ampio torace e da dorso e lombi rettilinei.

Altra importante caratteristica è il sistema di allevamento che avviene completamente allo stato brado, anche durante i mesi invernali, quando gli animali sono tenuti alla macchia dentro a estesi appezzamenti recintati. Con questo sistema, che richiede poca mano d’opera, si riescono anche a valorizzare zone difficili con la produzione di vitelli da ristallo a basso costo, oltre alla produzione di carni magre e dall’elevata qualità.

Maremma da camminare

Il Parco Naturale della Maremma mostra ai turisti un raro legame di ecosistemi, dove l’uomo nel corso degli anni è intervenuto senza alterarne i delicati equilibri: acqua, terra e vegetazione si fondono in modo profondo nelle Paludi della Trappola e alla Foce del fiume Ombrone, la storica pineta di Marina di Alberese ospita una quantità incredibile di animali selvatici e piante interessanti, le colline dei Monti dell’Uccellina che si distendono lungo la fascia costiera sono Sito d’Importanza Comunitaria (pSIC) e Zona di Protezione Speciale (ZPS) per il loro alto valore naturalistico, storico e paesaggistico.

All’interno dell’area protetta l’itinerario più frequentato è l’Anello delle Torri, con partenza e arrivo al Centro Visite di Alberese (m 42). In pratica, dal Centro Visite Alberese il bus-navetta del Parco termina la sua corsa in località Pinottolai (il costo è compreso nel biglietto d’ingresso all’area protetta). Si attraversa la Pineta Granducale fino al ponte Tartarughe, punto cardine dove si irradiano diversi sentieri del Parco Naturale della Maremma. Si segue il cartello A2 per raggiungere, attraverso una fitta boscaglia, la torre di Castelmarino (sec. XII), ottimo punto di vista sul mare e sulla rigogliosa Pineta Granducale. La tappa successiva è il promontorio di Collelungo, quindi si perde quota fino alla Torre del XVI secolo. Dei saraceni non si vede più l’ombra, però da queste torri di avvistamento il panorama sul mare e le isole dell’Arcipelago Toscano è veramente mozzafiato.

Scheda tecnica 

Località di partenza Centro Visite di Alberese / Località di arrivo Località Pinottolai / Dislivello + 150 metri / Tempo di percorrenza 4 ore circa / Segnavia A2

Qui di seguito vi descriviamo un secondo percorso, altrettanto bello!

Da Rabano a Torre dell’Uccellina– Torre Collelungo e Pinottolai

Testo e foto di Enrico Bottino

 

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