Le Alpi: straordinario mosaico di culture

19 marzo 2020 - 14:54

Dagli Occitani del Piemonte ai “Furlans” dell’estremo lembo nord-orientale d’Italia, il patrimonio culturale e linguistico di queste valli e montagne fa delle Alpiuno dei territori più affascinanti del pianeta.

In una datata serie televisiva, seguendo le avventure dei protagonisti che a bordo dell’astronave Enterprise viaggiano per mondi intergalattici, capita di ammirare di tanto in tanto splendidi paesaggi montani: succede quando gli esploratori del futuro approdano su un qualche pianeta, lontano anni luce dalla Terra ma in tutto simile al globo azzurro.

È strano, ma osservando quei mondi fantastici, si avverte una sensazione di anonimia: quelle splendide montagne non hanno nome, non hanno storia, sono tra le tante possibili; qualcosa di simile si percepisce anche osservando alcuni reconditi luoghi del nostro pianeta, come i monti dell’Antartide o della Groenlandia o di altre lande spopolate.

Monti disabitati, quasi completamente sconosciuti all’umanità: questo fa la differenza! Quando uno splendido ambiente naturale si arricchisce dell’epopea umana, quelle stesse montagne assumono un aspetto diverso, un colore ed una luce che i ricordi, le voci, i sentimenti di donne, uomini, bambini rendono ancora più intensi.

Trekking con gli asini (Ph Cesare Re)

Le Alpi sono tutto questo e per questa ragione sono le montagne più belle del mondo e di tutti i mondi: fanno parte di noi, della nostra vita, della nostra cultura, della nostra storia; certo qualcuno di noi si identificherà maggiormente nelle vallate piemontesi, qualcuno in quelle lombarde o di lingua tedesca. D’altronde la catena alpina non è certo uniforme e la varietà che la caratterizza dal punto di vista culturale e antropologico la rende ancora più affascinante, simbolo più di unione tra i popoli che di divisione: le montagne, per la loro inaccessibilità, hanno da sempre costituito un rifugio per le popolazioni che, in un qualche momento della loro storia, si sono trovate ad essere sopraffatte da altre, e valli recondite ne hanno preservato l’identità; è nato così un mosaico di lingue e culture, che oggi vanno a costituire il patrimonio delle “minoranze”, genti che in qualche modo si distinguono da quelle degli stati nazionali in cui si inseriscono.

 

Occitani, francoprovenzali e francesi: galloromanzi e Alpi occidentali

Già dalle Alpi Liguri e Marittime si incontra una cultura che conobbe nel passato importanza e splendori sovranazionali: si tratta dell’Occitania, una nazione ideale che si estendeva dalla pirenaica valle d’Aran alle montagne cuneesi e, in parte, torinesi, occupando l’intera Francia meridionale: patria della Lingua d’Oc, conobbe una parziale unità politica sotto Giovanna d’Angiò, la mitica Reina Jano vissuta nel sec. XIV, la cui figura leggendaria è rimasta viva in numerosi toponimi, come le Gorge de la Reina in valle Gesso.

L’Occitano, lingua che in Francia contese a lungo il primato alla Lingua d’Oïl (l’attuale francese), risuonò nelle poesie cantate dai “trovatori”, raggiungendo livelli culturali confrontabili con quelli del volgare italico; sopraffatta dagli eventi storici, la lingua d’Oc perse via via importanza, trovando una sorta di rifugio nelle zone più remote.

Anche nelle vallate del basso Piemonte, i dialetti parlati ancora largamente fino non molti anni fa, hanno in qualche modo tenuto in vita l’occitano, davanti all’incalzare del piemontese e, ovviamente dell’italiano: tuttavia oggi soltanto una precisa volontà politica può evitare la scomparsa di un idioma che rappresenta una grande ricchezza per un territorio ma spesso pare temere un’incipiente perdita d’identità.

Poco più a settentrione, ci si imbatte invece nel francoprovenzale, diffuso dalle vallate torinesi a quasi tutta la valle d’Aosta (con l’eccezione di alcune zone di influenza tedesca o piemontese), e ovviamente oltralpe, nei territori compresi tra Lione e Neuchâtel. Si tratta ancora di una lingua appartenente al gruppo galloromanzo, che comprende appunto anche l’Occitano ed il Francese: il linguista G.I.Ascoli ne mise in evidenza le caratteristiche intermedie tra la lingua d’Oc e la lingua d’Oïl.

A differenza di queste ultime due parlate, il francoprovenzale non conobbe pari dignità letteraria; è rimasto tuttavia vivo nei patois valdostani, tanto che è frequente imbattersi ancora oggi in chi lo usa correntemente. Se da una parte l’esistenza di stati (Stato Sabaudo, Delfinato) e ancor prima di diocesi con competenze territoriali sui due versanti favorirono l’uniformità linguistica delle vallate della regione francese e di quella italiana, a partire dal sec. XVI sia la Francia, sia il Regno di Savoia imposero di fatto le lingue nazionali: quest’ultimo, in particolare, fu responsabile dell’introduzione del francese nei documenti ufficiali in Valle d’Aosta (Editto del 1561 di Emanuele Filiberto) e, più tardi, dell’introduzione dell’italiano nelle vallate piemontesi.

L’italianizzazione del territorio aostano risale invece al periodo fascista: soltanto nel dopoguerra, con la concessione dell’autonomia regionale, il francese è ritornato ad essere lingua ufficiale e, insieme agli antichi patois francoprovenzali conferisce peculiarità e fascino all’estremo lembo nord-occidentale delle Alpi.

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Percorsi Occitani in Valle Maira: da San Martino a Macra

Percorsi Occitani in Valle Maira: da Elva Serre a San Martino Inferiore

Valsesia e val Mastallone: anello di San Gottardo

Storie di passi, alla Rocca dell’Abisso

Valle Stura di Demonte: Colle del Ferro e Arco di Tortisse

Val di Gesso: il piano del Valasco

 

Walser: un’isola di lingua tedesca tra Piemonte e Valle d’Aosta

Nelle vallate a sud del Monte Rosa esiste testimonianza di un’antica cultura tedesco-alemanna: si tratta dei Walser, popolazione di contadini e pastori che nel sec. XII si trasferirono dal Vallese in Valsesia, nelle valli Anzasca, Strona e Formazza ed in valle di Gressoney.

Cause della migrazione furono un eccesso di popolazione nelle zone d’origine ed il rinsecchirsi di una parte dei pascoli: gli spostamenti, dapprima stagionali, presto divennero permanenti. I Walser ottennero dal feudatario locale la possibilità di affittare liberamente i pascoli, condizione di sostentamento migliore di quella vallesana. Nacquero così i primi insediamenti, che raggiunsero la massima espansione nel 1700, con lo sfruttamento delle miniere d’oro e con l’utilizzo della patata come base alimentare.

Caduto quasi del tutto in disuso, l’arcaico idioma è in fase di recupero, prezioso patrimonio culturale di vallate dove sono invece ancora ottimamente conservate le antiche case, caratterizzate da un piano terreno in pietra, da una parte superiore in legno dotata di un loggiato esteso all’intera superficie esterna (ideato per essiccare segale e fieno) e da pesanti tetti in “piode” (lastre di pietra). Ad Alagna è possibile visitare anche l’interno di una casa walser, dove è stato riprodotto esattamente l’ambiente quale doveva essere nei secoli passati, mentre percorsi di trekking (ad esempio tra le valli Vogna ed Otro) si sviluppano tra i villaggi più tipici.

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Val D’Ayas – Rio Courtod e Alpe Metzan

Valsesia e val Mastallone: anello di San Gottardo

 

I Sudtirolesi, terra di lingua tedesca

Tradizionalmente legati alla corona austriaca, i Sudtirolesi vissero il momento più alto della loro storia nella rivolta del 1809, quando gli Schützen guidati da Andreas Hofer sconfissero presso Vipiteno i franco-bavaresi e più tardi entrarono ad Innsbruck, consegnando il Tirolo riunito nelle mani degli Asburgo; le alterne vicende della regione conobbero il loro ultimo atto con la concessione dell’autonomia (1972).

Prevalentemente di lingua tedesca, il Südtirol costituisce una penisola linguistica, prolungamento della cultura austriaca a sud delle Alpi. Seppure l’economia sia oggi fortemente volta al turismo, non mancano ancora espressioni tipiche di quella che fu la vita della regione: un esempio è la gestione della proprietà a “maso chiuso“, azienda agricola familiare tramandata al primogenito maschio, che affonda le proprie radici negli anni tra il VI ed il VII sec.

All’istituzione giuridica corrisponde anche una tipologia abitativa: coltivi e pascoli circondano il maso, generalmente con il primo piano in pietra ed i piani superiori in legno ed il tetto in “scandole” (tavole grezze di larice) , fissate con robusti rami trasversali o pietre.

È d’obbligo infine un cenno alla simpatica tradizione del grembiule blu, irrinunciabile divisa da lavoro del sudtirolese; l’immancabile “abbigliamento” viene simbolicamente regalato ai bambini all’inizio della scuola: li accompagnerà per tutta la vita, assumendo addirittura sfarzosi decori per gli scapoli in cerca di moglie.

I nostri itinerari

Sudtirolo: attraverso la Val di Fosse

 

Ladini, dalla Svizzera al Friuli attraverso le Dolomiti

Ladini (Ph Enrico Bottino)

Dalle vallate dell’Ossola occorre spostarsi nelle vallate dell’Alto Adige e del Trentino prima di incontrare altre minoranze linguistiche autoctone, almeno rimanendo in territorio italiano.

Il Ladino è lingua neolatina che per un certo tempo fu considerata patrimonio comune dei romanci grigionesi e dei friulani, passando per i “Ladini centrali” delle valli altoatesine, trentine e venete.

Premesso che il Friulano merita un discorso separato, accentrando la nostra attenzione sui Ladini delle vallate comprese in territorio italiano, possiamo senz’altro dire che attualmente si tratta di una lingua parlata da 25-30 mila persone, diffusa nelle valli Gardena, Fassa, Badia e Livinallongo e nell’Ampezzano; riconosciuta nelle province di Trento e Bolzano, non è stata ancora sufficientemente valorizzata in territorio bellunese, forse perché parlata da un numero limitato di persone: per questo motivo, negli anni ’90, nel Livinallongo ci fu addirittura un referendum consultivo per passare alla provincia di Bolzano.

Come in molti altri casi, alla lingua corrisponde una cultura nel senso antropologico del termine: per i Ladini è certamente in questo senso molto significativa la tipologia degli insediamenti abitativi. Mentre fienili e stavoli sono largamente sparsi nel territorio, mancano tendenzialmente gli insediamenti abitativi sparsi. Prevalgono al contrario aggregati di case distanziate, con aperture disposte simmetricamente e prive di balconi: interessati da profonde ricostruzioni nel periodo seguente alla Grande Guerra, molti borghi hanno comunque mantenuto la loro tipologia; in alcuni casi (Costalta), dove la guerra non ha portato distruzione, sono ancora visibili antiche case edificate con tecnica “blockbau” e “Gotthardhaus”, case di tipo walser analoghe a quelle che si riscontrano in prossimità del Sempione e del Gottardo.

La casa ladina tipica, oggi largamente contaminata da elementi di modernità, è stata riprodotta in alcuni musei dedicati; analogamente sul territorio si possono conoscere attraverso sapienti ricostruzioni i mulini ad acqua, le segherie, le officine dei bottai (Moena).

I nostri itinerari

Val di Fassa: i Monti Pallidi dal Rifugio Antermoia al Gardereccia

Val di Cembra: il sentiero dei vecchi mestieri

 

Furlans e slavi

Carnia-Dolomiti friulane: Alpeggi tra Sauris e la val Pesarina, con sullo sfondo le Dolomiti Pesarine

Parenti stretti dei Ladini dolomitici sono senza dubbio i Friulani, gruppo linguisticamente e culturalmente omogeneo che occupa quasi tutto il Friuli, con l’eccezione di alcune zone di confine dove sono presenti influenze slovene e alcune isole di lingua tedesca. Si tratta di circa 80mila persone (prevalentemente in provincia di Udine), che mantengono ancor oggi viva la loro lingua attraverso numerose varietà dialettali, una lingua che può vantare una tradizione letteraria (perché non ricordare le poesie di Pasolini?), una precisa identità con ben definite regole lessicali e di pronuncia.

Nelle valli del Natisone l’antico idioma slavo sostituisce la lingua italiana. Slavi, non sloveni, ci tengono a sottolineare; gli abitanti di queste terre di confine, infatti, non hanno avuto, tranne pochissime eccezioni, contatti culturali o linguistici con gli Sloveni per dieci secoli. Questo ha fatto sì che la loro lingua non si confrontasse mai con quella dei vicini, e spiega perché hanno potuto conservare una parlata fondamentalmente protoslava.

Cimbri, Mocheni e altre minoranze ad arricchire il patrimonio umano delle Alpi

Completano il quadro delle minoranze che rendono vario il patrimonio umano delle Alpi alcune popolazioni che costituiscono gruppi isolati di lingua tedesca.

I più importanti sono i Cimbri; coloni bavaresi, giunsero sui grandi altipiani trentini e veneti (Folgaria, Lavarone, Luserna, i Sette comuni vicentini e i tredici della Lessina nel veronese) tra il XII ed il XIII sec.: si stabilirono in una regione disabitata, facendo dell’agricoltura e della pastorizia la loro fonte di sostentamento. A Luserna e in Lessinia si possono visitare musei che ricordano la loro cultura, mentre la lingua ormai sopravvive solo in pochi nuclei familiari.

Tracce di un’altra colonizzazione germanica si incontrano nella valle del Fersina e nelle zone attorno a Pergine Valsugana (Trentino): si tratta dei Mocheni, che parlano un dialetto tedesco arcaico, per i quali si parla oggi di recupero e difesa della lingua e della cultura.

I nostri itinerari

Folgaria: dal Castello di Beseno a Vallagarina

L’altopiano dei Sette Comuni: da cima Manderiolo a cima Larici

Grandi altipiani trentini: da Passo Coe al Monte Maggio

Un’ultima isola di lingua tedesca s’incontra a Plodn, più nota come Sappada, località turistica in provincia di Udine. La popolazione, giunta dalla vicina Carinzia attorno all’anno 1000, parla un dialetto bavarese, che in verità non gode di tutele particolari. Impronte di chiara origine germanica restano nell’architettura, come ad esempio nel largo uso del legno, spesso riccamente decorato.

Infine dialetti in qualche modo legati al tedesco si parlano anche nelle valli del But, del Lumiei (a Sauris vivono i discendenti di minatori originari della Carinzia) e a Timau, non lontano dal passo di Monte Croce Carnico.

I nostri itinerari

Via Alpina / Tappa B15: da Sauris di Sotto a Forni di Sopra

Testo di Claudio Trova e Enrico Bottino